CHARLES ERIC MAINE
RISCHIO CALCOLATO
(Calculated Risk, 1960)
I
Dall'altra parte del reticolato sparavano a intervalli irregolari, e grazie al terreno ineguale lui riusciva a sfuggire le dita luminose dei riflettori. Per un po' giacque nell'ombra scura di un mucchio di mattoni sgretolati, respirando lieve ma profondo, ascoltando attento i pochi rumori notturni e il mormorio di voci lontane. Poi i riflettori si spensero e il fuoco cessò. Cautamente, l'uomo strisciò in avanti.
Il reticolato era fitto e resistente ma le cesoie ancora affilatissime riuscirono in pochi minuti ad aprire un varco attraverso la barriera. Voltandosi un attimo a guardare indietro, nella pallida luce sparsa dalla luna al suo primo quarto, l'uomo vide il rettangolo bianco del cartello. Anche nell'oscurità le lettere nere erano visibili. VIETATO L'ACCESSO - ZONA RADIOATTIVA. Ogni cento metri, attorno al perimetro dell'area recintata, c'era un cartello identico.
Lui avanzò sulle mani e sulle ginocchia inoltrandosi fra macerie e buche, orientandosi a memoria o con l'aiuto dell'istinto. Dietro di lui i riflettori si riaccesero a frugare la notte, penetrando il reticolato e spingendosi sul terreno oltre il recinto. Un fascio luminoso ispezionò un mucchio di pietre, tutto quello che restava di un alto edificio. Poi si ritirò e di colpo si spense.
Pieno di paura, scattò in piedi e cominciò a correre sul terreno nero e sconvolto, spinto dalla certezza che presto avrebbe sentito sotto di sé la dura superficie di quella che una volta era stata una grande arteria stradale. La raggiunse in sette minuti, senza incidenti. L'asfalto era levigato e simile a vetro, come se fosse stato fuso in una immensa fornace, e profonde crepe lo solcavano spaccandolo in grandi pezzi. Ma per lo meno, quella restava sempre una strada e portava sicuramente a destinazione. Avanzò attento, senza fretta, perché la lucida superficie ancora bagnata dalla pioggia recente era traditrice per le suole di gomma delle sue scarpe.
Un'ora , si disse l'uomo, a meno di incidenti, incontri pericolosi o altro. Sei chilometri attraverso le rovine di una città morta, e la zona aperta che una volta era un piacevole parco verde. Sei chilometri per raggiungere il riparo costruito con lamiera ondulata e tela catramata, una delle tante rozze baracche che formavano il nucleo della nuova Londra. Sei chilometri di tortura per il corpo stremato dalla fame e dalla sete, e devastato dalla continua esposizione alle radiazioni gamma.
Tutte cose alle quali ci si abitua, certo. Il corpo e la mente di un uomo riescono sempre ad adattarsi. Qualora le condizioni lo richiedano, l'uomo riesce a sviluppare nuovi sensi, come il presentimento del pericolo. Riesce a captare la presenza di miserabili sciacalli acquattati nell'ombra più fitta, e ad accettare la violenza e i disagi come parte di un modo di vivere. Quello di adesso era un mondo molto diverso dall'altro, finito così bruscamente soltanto pochi mesi prima, quando la prima bomba all'idrogeno era esplosa a Londra. Da allora c'erano state molte altre bombe su molte città e paesi, e il mondo era cambiato, enormemente. Ma non ci si doveva più pensare, e bisognava prendere la vita come veniva, vivendo alla giornata con termini di tempo e di spazio limitati al momento e al posto in cui si era in quell'attimo. Così, in qualche modo, si riusciva a sopravvivere.
Lui era preoccupato per Kay. Era rimasta sola troppo a lungo, e durante quei giorni della sua assenza poteva esserle successa qualsiasi cosa. Nella baracca dove vivevano, c'erano viveri e anche un po' d'acqua sterilizzata, sufficienti per tirare avanti, e certamente più di quanto cibo e acqua lui fosse riuscito ad avere in una settimana. Ma Kay era un tipo irrequieto, e poteva aver abbandonato la relativa sicurezza del rifugio ed essersi messa in qualche pericolo. Affrettò il passo, ansioso di mettere fine alla sua inquietudine.
Almeno , pensava, ho fatto qualcosa di positivo, qualcosa che giustifica le privazioni e i pericoli. La sola idea di fuggire da tutto questo... Ma perché alcuni mesi fa avevo pensato che fosse impossibile? C'è un vecchio detto che riguarda la paternità di una invenzione... Chissà com'è... Per quanto non si possa considerarla veramente un'invenzione nel senso convenzionale del termine. Forse si potrebbe definirla un insospettato varco tecnologico risultato da anni di meticolose ricerche, con l'aggiunta di una bizzarra peculiarità: le ricerche sono avvenute prima dell'arrivo delle bombe H, e il varco, dopo. Ma varco è il termine corretto per questo sviluppo della scienza psiconeutronica? I posteri potranno dare una risposta, se ci saranno posteri...
Rise, e il suono della sua voce echeggiò nel buio della notte. Improvvisamente ebbe paura. Si fermò, cercando di penetrare le ombre. Ma l'oscurità era immobile, buio inanimato. Riprese il cammino.
Infine raggiunse il muro sgretolato che circondava il parco, e poco dopo calpestava lo squallido terreno fra le baracche improvvisate, diretto al familiare rettangolo che ospitava lui e Kay. La misera porta era socchiusa. Toccò la maniglia mentre un allarme gli risuonava nel cervello. Delicatamente spinse il battente fino a spalancarlo.
— Kay! — chiamò sottovoce.
Dall'impenetrabile buio dell'interno rispose una rassicurante voce femminile.
— Phil! Sei tu?
— Sì. — Usando le mani come antenne avanzò seguendo la fredda parete metallica finché raggiunse un'estremità del letto rudimentale. Abbassò una mano a toccare un braccio nudo, e le sottili dita di Kay gli si serrarono al polso.
— Pensavo che non saresti più tornato! — disse lei.
Trovò le sue labbra al buio e la baciò. — Ero preoccupato per te, Kay.
— Sto bene — rispose lei in fretta, ma nella sua voce c'era una sfumatura di amarezza che non gli piacque. — Dimmi, Phil, ci sei riuscito?
— Ho lavorato giorno e notte — rispose Phil, — e alla fine ho dovuto lasciare il lavoro incompiuto. Le pattuglie antimutanti circolavano nella zona. Fortunatamente sono riuscito a eluderle.
Le dita di Kay si irrigidirono sul suo braccio. — C'è una possibilità, Phil?
— Una possibilità, forse. Certamente il rischio è grande.
— Con quante probabilità?
— Non lo so. Possiamo dire che si tratta di un rischio calcolato.
— Quando, Phil? Quando?
Rifletté un momento prima di rispondere. — Ho bisogno di riposare un poco, e poi ho ancora qualcosa da fare. Mancano alcune prove e un paio di modifiche. Inoltre posso cercare di aumentare le possibilità di salvezza.
— Phil! Vuoi lasciarmi sola di nuovo?
— Ancora una volta... forse due...
Kay si girò facendoglisi più vicina. — Non possiamo andarcene insieme, adesso? Non voglio aspettare di più.
— Devi avere pazienza — disse lui. — Bisogna scegliere il momento adatto. In due il pericolo viene raddoppiato. Le guardie della barriera sparano al minimo allarme. Non possiamo permetterci di essere impazienti.
— Non ci resisto, Phil. Dimmi, se ce ne andiamo questa notte, possiamo farcela?
Phil sospirò. — Ho dormito pochissimo in questi cinque giorni, Kay. E ho bisogno di essere il più lucido possibile.
Kay esitò un attimo, poi disse: — È venuto Meillor.
Lui non rispose, limitandosi ad assimilare l'informazione data apparentemente a sproposito. Sulle prime il nome non significò niente per Phil. Poi di colpo l'immagine di Meillor gli balzò nitida alla mente, e vide la sagoma massiccia dell'uomo e i suoi occhi selvaggi e le sue labbra sempre umide.
— Meillor — ripeté. — Continua.
La voce di Kay aveva un tono di reticenza. — Da settimane mi sentivo addosso i suoi occhi quando giravo per il campo — disse. — In qualche modo ha saputo che tu eri via... Forse ha spiato.
— Cos'è successo?
— Io... preferirei non parlarne, Phil. È che... Phil, voglio andarmene questa notte, qualunque sia il pericolo. Non voglio stare qui un minuto di più. — S'interruppe, poi riprese in tono più freddo, più calmo: — Meillor ha forzato la porta. E io non ho potuto fare niente.
— Capisco.
— Può tornare, Phil. Ecco perché voglio andarmene, subito.
— Va bene — disse lui. — Ma prima devo fare una cosa.
Kay si protese per riafferrarlo mentre lui si alzava e si allontanava dalla branda. — Che cosa, Phil?
— Non preoccuparti — rispose. — Sarò di ritorno entro pochi minuti.
— Phil, per favore, non lasciarmi sola...
Arrivato alla porta, Phil esitò. — Non intendo lasciarti. Ho solo un lavoro da fare. Non ci vorrà molto. — Poi, ignorando i suoi richiami, uscì nella notte gelida. Si avviò lentamente fra le baracche, diretto all'estremità nord del campo. Arrivato all'inizio della salita si fermò. Mi serve un'arma,pensò. Lui è grande e forte, e io sono stanco. Mi serve qualcosa di duro ma non troppo pesante, in modo che possa maneggiarlo senza difficoltà.
Si chinò sul terreno a raccogliere pietre e a esaminarle finché non trovò quella che aveva le caratteristiche desiderate. Era una pietra lunga, e sagomata a un'estremità in modo da sembrare un'ascia del neolitico, munita di un manico che poteva essere impugnato saldamente. La serrò in pugno vibrandola nell'aria. Era pesante ma agevole da maneggiare. Lentamente, prese a salire la collina. In quella parte del campo c'erano solo tende invece che capanne costruite con lamiera. Lì vivevano gli uomini soli, quelli che avevano bisogno soltanto di un riparo dalla pioggia, e che potevano dormire in uno spazio non più grande di quello occupato da una bara.
Si fermò, incerto sull'atteggiamento da tenere. — Meillor — chiamò. Il silenzio si burlò del suo richiamo. — Meillor — ripeté a voce più alta.
La risposta gli giunse alle spalle, improvvisa. — Chi è?
Girò su se stesso, cercando di percepire particolari o movimenti nell'oscurità. Intravvide una tenda scossa vigorosamente e una testa irsuta che si affacciò nell'apertura.
— Chi è? — chiese Meillor.
— Philip Calland.
La figura di Meillor emerse dalla tenda come un baco dalla crisalide. L'uomo rimase un po' curvo su se stesso, con le lunghe braccia penzoloni e le mani che si flettevano lentamente. E poi cominciò a ridere. Una risata di scherno, offensiva. Le labbra umide risaltavano nella luce lunare.
— Credo di dover sistemare una faccenda con voi — disse Calland.
Di colpo Meillor smise di ridere e sputò. — Un uomo prende ciò che vuole — disse. — Ho tanti diritti quanto voi, su quella donna. Non è vostra moglie. Gli stessi diritti. Perciò, cosa credete di dover fare?
— Soltanto questo — rispose Calland sollevando il braccio armato e scattando in avanti.
Meillor lo afferrò alle gambe e lo trascinò con sé al suolo, facendolo sbattere a terra con tale violenza che l'aria uscì di colpo dai polmoni di Calland, e il dolore lo fece boccheggiare. Ma la pietra era ancora stretta saldamente nel suo pugno. E quando Meillor con un guizzo gli fu sopra cercando di afferrarlo per la gola, lui abbatté la pietra contro la sua faccia. Un grido strozzato forò il silenzio notturno.
Si udivano altre voci adesso, e figure d'uomo emersero dalle tende vicine. Calland afferrò Meillor per i lunghi capelli annodati, gli rigettò indietro la testa e tornò ad abbattere la pietra sulla gola nuda dell'uomo. Il sangue spruzzò nero nella scarsa luce notturna. Con la forza della disperazione Calland colpì ancora e ancora, mentre Meillor urlava di paura e di dolore. Poi, dopo un ultimo gemito strozzato, l'uomo rimase immobile.
Calland si liberò dal peso del corpo che premeva sul suo, e si alzò stringendo ancora l'ascia improvvisata. Attorno a lui gli uomini erano forme vaghe che guardavano in silenzio, senza emozione. Erano abituati alla violenza, e non avevano nessuna voglia di intervenire. Lui soppesò la pietra, osservandoli attento, cercando di indovinare le loro reazioni. Nessuno si mosse.
— Si è preso la mia donna — disse.
Nessuno parlò. Guardavano e basta.
Lentamente lui voltò le spalle alla sagoma immobile di Meillor e si allontanò, senza fretta, a passi ritmati, giù per la collina, verso il centro del campo. Loro non fecero nessun tentativo di fermarlo, e poco dopo Calland rientrava nella sua baracca e chiudeva la porta.
La voce di Kay si levò ansiosa nelle tenebre. — Phil, dove sei andato?
— Da Meillor. Non ti darà più fastidio, Kay.
— L'hai... l'hai ucciso?
— Sì.
— Aveva degli amici. Verranno a cercarti!
— Non saremo più qui — rispose, deciso. — Ce ne andremo, tu e io. Affronteremo quel rischio calcolato di cui parlavamo prima.
— Ma Phil, dopo quello che è successo...
Lui sorrise, si accostò alla branda, e le accarezzò i capelli. — Non preoccuparti per il corpo che Meillor ha offeso. Presto ne avrai uno nuovo, se tutto va bene. Ti senti forte a sufficienza per affrontare il pericolo?
— Sì.
— E allora andiamocene, prima che quelli arrivino con i loro piccoli cervelli troppo irrorati di sangue.
— Dobbiamo portare qualcosa con noi?
Lui la baciò delicatamente. — Niente, Kay. Le proprietà materiali non avranno più alcun significato. Tutto quello di cui abbiamo bisogno siamo noi stessi.
L'aiutò ad alzarsi, commosso dalla sua debolezza. Afferratasi saldamente al suo braccio, Kay uscì dalla baracca, e insieme si mescolarono alla notte.
Due ore più tardi, raggiungevano il laboratorio sotterraneo entro la zona radioattiva. Avevano incontrato qualche difficoltà a varcare la barriera perché le pattuglie antimutanti stavano all'erta e i riflettori scandagliavano l'oscurità. Ma usando la massima prudenza c'erano riusciti. Il laboratorio era fornito di un'unità nucleare che funzionava senza emettere rumore, e all'interno era possibile avere la luce. Non c'erano finestre, là dentro, e così nessuna illuminazione visibile dall'esterno poteva attirare l'attenzione delle pattuglie che indossavano le tute antiradiazioni.
Riposarono per un po' appoggiati contro un pannello di metallo grigio costellato di luci ammiccanti. Da qualche parte una macchina ronzava lievemente. Il locale era piccolo, strumenti rettangolari rivestivano le pareti, e un banco era ricoperto di utensili e apparecchiature elettroniche. In un angolo, su un telaio metallico era montata una serie di unità collegate da cavi alla maniera dei prototipi sperimentali. Alcuni di quei cavi pendevano ancora liberi. Nella fredda luce azzurra delle lampade fluorescenti l'uomo e la donna apparivano sparuti e cadaverici. La faccia di Calland, in particolare, era segnata dalla stanchezza e gli occhi, nonostante lo sguardo vivace, sparivano quasi dentro le orbite infossate. Sul mento e sulle guance c'era l'ombra scura della barba non rasata, i capelli, secchi e neri, spruzzati qua e là di grigio, avevano perso di vitalità per via delle radiazioni. La donna era più giovane di lui. Aveva appena trent'anni, anche se le privazioni l'avevano portata a un invecchiamento precoce. Era evidente che una volta doveva essere stata molto bella, perché anche adesso non si poteva negare la grazia dei suoi lineamenti. Indossava una gonna grigia e un maglione blu, entrambi logori e sporchi. I capelli neri, aridi e arruffati, probabilmente non conoscevano pettine da settimane.
— Fumerei una sigaretta, se al mondo ne esistesse una — disse Phil dopo qualche minuto. — E berrei volentieri qualcosa di alcolico. Mi sarebbe d'aiuto.
— Lo pensi davvero? — domandò Kay.
Phil sorrise. — Francamente mi andrebbe bene persino l'alcol ricavato dalle patate radioattive. Quello che fabbricava Meillor.
— Preferirei non sentirti più dire quel nome!
— Non è molto importante, Kay — disse lui. — È soltanto un'ombra in un mondo di ombre.
Poi Phil si concentrò sugli strumenti, unendo cavi con pinze isolanti e fissando le varie parti con un piccolo saldatore. Kay lo guardava con occhi attenti ma apatici.
— Mi fa un effetto curioso pensare che ho passato otto anni della mia vita in questo posto — disse a un tratto.
— E io quattordici — disse Phil. — Ho sempre approvato l'insistenza di Kettler perché i laboratori di ricerche venissero costruiti sottoterra. Forse lui presentiva gli eventi futuri.
— Lo presentivamo tutti, Phil. Ma non è servito.
— Non serve mai. Le guerre arrivano anche se l'umanità non le vuole. Il guaio è che sono diventate ogni volta più devastatrici. Questa storia delle mutazioni, per esempio... Credo che persino le autorità ne siano spaventate.
— Pare che l'abbiano presa molto sul serio.
— Sì, e nel modo più esplicito. Può anche essere un modo utile in un certo senso. Se vengono chiuse tutte le zone radioattive e si ammazza ogni individuo sospettato di contaminazione, statisticamente viene ridotto il numero dei mutanti nelle generazioni future.
Si interruppe concentrandosi su un cavo verde. — Personalmente — disse poi — ritengo che il danno sia già stato fatto. Credo che se la razza umana sopravviverà, sarà formata da anomalie da baraccone. Gente affetta da gravi conseguenze genetiche, con quattro braccia, tre occhi, o nessuno addirittura, otto dita per mano o un solo dito, e fratelli siamesi a profusione. E se si sposeranno fra loro... ecco, preferisco non pensare ai risultati.
— Allora, meglio prendersi una pallottola — disse Kay.
— Per quello che riguarda il futuro, sì.
Tacquero ancora per un po'. Phil Calland continuò il suo lavoro controllando di tanto in tanto le annotazioni su un quaderno ripiegato sul banco. Dopo una decina di minuti girò un interruttore, e una piccola dinamo cominciò a ronzare. Girò un altro interruttore, e una spia luminosa ammiccò dall'estremità del prototipo. Vapori di mercurio esplosero in una vampata incandescente, e le valvole termoioniche si accesero dapprima di un cupo cremisi per splendere poi in un brillante arancione. Gli aghi indicatori oscillavano sui quadranti.
Phil manovrò con cura le manopole dei comandi, senza fretta, tenendo d'occhio gli indicatori e aggiungendo annotazioni sul quadernetto. Poi indietreggiò di qualche passo a osservare l'insieme dell'equipaggiamento che funzionava al minimo, e si passò le dita sul mento, con aria pensosa.
— Funzionerà, Phil? — chiese lei.
Lui non rispose. Stava manovrando un comando millimetrato.
— È molto lontano dalla teoria basilare — disse Kay. — Mi riferisco al lavoro di Loetze sui quanta psiconeurologici.
— Lontano veramente — disse Phil. — E non sono molto sicuro che lui abbia intravisto tutte le possibilità della sua equazione base. Matematicamente forse se n'è reso conto, ma non per le applicazioni pratiche. In un certo senso questo esperimento confermerà o smentirà il ragionamento di Loetze, ammesso che il prototipo funzioni come previsto.
— È preciso?
— Abbastanza. Non sono in grado di prevedere l'esatto istante in cui avverrà la trasformazione ma agirà allo stesso modo su entrambi. Dovremmo indietreggiare di circa quattrocento anni, sino alla metà del ventesimo secolo, con uno scarto di dieci o vent'anni. Psiconeutralmente è così.
— E per il fattore sesso?
— L'undicesima equazione derivata da Loetze si occupa di questo. In realtà io mi troverò entro il corpo di un altro uomo e tu prenderai quello di un'altra donna. Lo si può chiamare viaggio nel tempo sul piano mentale.
Kay aggrottò la fronte, e si tormentò coi denti il labbro inferiore. — Mi domando cosa accadrà ai reali possessori dei corpi che noi occuperemo — disse.
— Cesseranno di esistere — rispose lui tranquillamente, manovrando alcuni comandi in modo da aumentare la potenza della dinamo. — Loetze ha dimostrato che l'intima configurazione delle cellule cerebrali è determinante per ogni sfaccettatura della cosiddetta identità personale, compresi i ricordi. Naturalmente, se si imprime un nuovo complesso di personalità a una preesistente sagoma cerebrale, si stabilisce una nuova identità. L'individuo originale scompare.
— Ma questo non è una specie di... di delitto?
Lui scosse la testa, e si voltò a guardarla. — La distruzione di un ego si può definire delitto? E i corpi allora? Quelli che noi ci lasceremo alle spalle, qui, in questa stanza. Dobbiamo considerarlo come un suicidio? In ogni caso, io di fronte alla legge sono già colpevole di un vero delitto. Ho ucciso Meillor. Non mi sento perciò molto schizzinoso.
— Non lo sarò nemmeno io, quando verrà il momento — disse Kay.
— Dobbiamo chiarire bene alcuni dettagli pratici — disse Phil, guardandola. — Se l'esperimento riesce, riprenderemo entrambi conoscenza entro corpi estranei, e in un'epoca vecchia di quattrocento anni. Dobbiamo studiare le nostre vere identità. Dobbiamo scoprire senza ritardo l'identità dei corpi di cui ci saremo impadroniti, e imparare tutto su di loro, i loro amici, le conoscenze, le abitudini, eccetera. Può darsi che per un certo tempo si debba simulare un'amnesia.
— Come potremo riconoscerci?
— Fisseremo di incontrarci in un dato posto o a una data ora, e andremo ogni giorno all'appuntamento. Indosseremo qualche cosa che serva da riconoscimento. La nostra, diciamo, reincarnazione avverrà nella stessa zona geografica in cui ci troviamo ora, cioè in un raggio di trenta chilometri dal centro di Londra.
— Londra è cambiata molto in quattrocento anni.
Lui rise con ironia. — È cambiata di più durante gli ultimi mesi.
— Dove ci incontreremo, Phil?
Ci pensò un momento. — Ho consultato delle vecchie carte e guide stradali. Nel ventesimo secolo c'era un famoso punto di ritrovo conosciuto come la statua d'Eros.
— Abbastanza appropriato per noi due — disse Kay, sorridendo.
— Per lo meno non corriamo il rischio di dimenticarci il nome — disse Phil. — Questa statua si trovava nel mezzo di una grande arteria di congiunzione nel centro di Londra, chiamato Piccadilly Circus. Potremmo incontrarci là, sotto la statua.
— D'accordo, Phil.
— Ci andremo ogni giorno, fra mezzogiorno e l'una, finché ci incontreremo.
Lei gli si avvicinò e gli mise le mani sulle spalle. — Dato che saremo in due corpi diversi, come faremo a riconoscerci?
— Porteremo dei fiori sul vestito. Qualsiasi genere di fiori purché siano uno rosso e uno bianco. E li appunteremo sul lato destro perché può darsi che qualcuno abbia la stessa idea riguardo ai colori, ma naturalmente li appunterebbe a sinistra come fanno quasi tutti.
— Me ne ricorderò.
Phil se la strinse più vicina. — C'è un'altra cosa che dovrai ricordare, Kay. Qualunque cosa succeda io ti amerò sempre.
— E io amerò sempre te — disse lei.
Phil la baciò con delicatezza, poi si sciolse dalle sue braccia volgendosi a guardare pensoso il prototipo.
— Sei pronta? — chiese.
Kay accennò di sì con la testa, sorridendo appena.
— Paura?
— No, finché siamo insieme.
— Può essere doloroso al primo momento. Sentirai una specie di scossa elettrica. Ma dopo...
— Non ha importanza, Phil.
Tornò a concentrarsi sugli strumenti. I suoi gesti erano diventati scattanti, adesso mentre manovrava i comandi. Una seconda dinamo incominciò a ronzare sonoramente. Le lampade spia si accesero una dopo l'altra, mentre lui girava i vari interruttori. Infine lui si voltò verso la donna.
— Sarà meglio spogliarci. Bisogna fare diversi collegamenti diretti alla testa e al corpo. Fra dieci minuti la macchina entrerà automaticamente in funzione a pieno regime, e la trasformazione di Loetze avrà luogo.
— Speriamolo — disse lei, col tono di chi conclude una preghiera.
Si liberarono degli indumenti, e poi Calland collegò sui loro corpi tutta una serie di piccoli elettrodi. E attesero il momento in cui lo scatto dei relais avrebbe preannunciato l'attimo dell'annullamento e della rinascita. Si baciarono, solennemente quasi, per l'ultima volta.
— Arrivederci al ventesimo secolo — disse Phil.
— È il nostro appuntamento — rispose Kay.
Pochi secondi più tardi le dinamo urlarono trasmettendo alla macchina tutta la loro forza.
II
Quattrocento anni di paralisi elettronica volarono in una frazione di secondo. Lui era seduto a una scrivania di legno in uno squallido ufficio, reggendo nella destra il ricevitore di un antiquato apparecchio telefonico intento ad ascoltare una voce che risuonava petulante al suo orecchio. C'erano altre due persone nell'ufficio, sedute ad altrettante scrivanie: un uomo anziano e calvo, che fumava una vecchia pipa e stava esaminando un fascio di fogli stampati, e una ragazza carina, sui vent'anni, coi capelli neri, che batteva su una di quelle antiquate macchine da scrivere che per secoli avevano funzionato con lo stesso principio meccanico. Le pareti erano di un color crema sporco, il pavimento di linoleum scuro non doveva essere stato pulito da mesi. La grande finestra era semiaperta, ma nella stanza l'aria gravava impregnata dell'odor di tabacco.
— ... sulla possibilità di acquistare spazio pubblicitario — stava dicendo la voce al telefono. — Se non potete tener dietro ai prezzi del budget,allora sarà meglio cancellare l'annuncio, o passarlo sulla prossima edizione.
— Sì — rispose Calland cercando di dare un significato alle parole pronunciate come una minaccia.
— Allora? Non potete?
Lui esitò un attimo cercando una risposta diplomatica. — Probabilmente sì — disse. — Ve lo faremo sapere.
— Va bene — disse la voce, in tono poco convinto. — Chiedete in tipografia e poi telefonatemi. Il cliente mi sta ossessionando.
— Sì — disse ancora Calland. — Arrivederci.
Rimise il ricevitore sul supporto e si tormentò le labbra con le lunghe dita sensibili. Poi si scoprì a guardarsi le mani. Erano mani giovani, con la pelle liscia e salda. Si toccò con curiosità la faccia, seguendo i contorni sconosciuti, ma senza riuscire a farsi un'idea dei suoi nuovi lineamenti. Le dita salirono verso i capelli, e li trovarono folti e morbidi. L'entusiasmo vibrò dentro di lui. C'era riuscito! La trasformazione di Loetze aveva funzionato. Sono tornato indietro nei secoli,si disse. E anche Kay! Se è successo a me deve essere stato lo stesso anche per lei. Abbiamo entrambi due corpi nuovi. Abbiamo conosciuto entrambi, la morte e la resurrezione!
Poi l'entusiasmo si tramutò di colpo in prudenza. Sbirciò cautamente la ragazza e l'altro uomo dell'ufficio, rendendosi improvvisamente conto di essere un estraneo in un ambiente sconosciuto, per quanto, fisicamente i due lo accettassero come un collega. Doveva raccogliere i dati sulla vita e sul modo di vivere del corpo che aveva occupato, senza tradire il cambio di personalità,e per questo gli servivano informazioni. Doveva conoscere immediatamente il suo nome, la sua età e qualcosa della sua vita familiare. In seguito bisognava scoprire la natura del suo lavoro e il nome dei colleghi, e doveva assumere un tono di normalità, e intavolare conversazioni con la gente che lo circondava. E soprattutto bisognava che pensasse e agisse in termini di ventesimo secolo, dissimulando tutte le superiori conoscenze tecniche e sociali sviluppatesi durante i passati quattrocento anni... i futuri quattrocento anni,si corresse. L'eccitazione tornò, unita a un senso di omniscenza quasi divina. Studiò l'uomo e la ragazza. Primitivi, naturalmente. Gente di un'epoca passata, di una cultura inferiore. Indossavano i curiosi abiti tessuti che venivano descritti nei testi di storia. Gente morta, appartenente a un passato ormai sepolto, ma ora stranamente vivi grazie al miracolo realizzato dal pensiero di Loetze. Potrei far rivivere un'intera epoca,pensò. Oppure essi sono sempre stati vivi durante questi secoli, in qualche piega dello spazio extratemporale? Più si pensa al mistero del tempo, e più confusione se ne trae. Ma una cosa era certa. Loetze aveva visto giusto, quello era proprio il ventesimo secolo, e lui era vivo in un mondo ancora vivo.
Si frugò in tasca e ne trasse oggetti insoliti ai suoi occhi. Una scatoletta di cartone colorato rivelò un contenuto di sottili cilindri bianchi, che lui riconobbe per sigarette, ma erano tozze e goffe se confrontate alle più snelle sigarette colorate della sua epoca. Ne scelse una e se la mise fra le labbra, subito impacciato dal suo spessore. Un'altra scatola più piccola, conteneva una gran quantità di corte asticciole di legno con la capocchia rossa. Comprese subito che si trattava di fiammiferi. Divertito, ne strofinò uno contro un lato della scatoletta e accese il rotolo di tabacco aspirando profondamente. Un attimo dopo veniva preso da un accesso di tosse mentre il fumo gli bruciava i bronchi. Un campanello di allarme gli risuonò nel cervello. Quello era tabacco non raffinato, pieno di elementi cancerogeni e di nicotina... Lasciò cadere la sigaretta e la schiacciò col tacco della scarpa.
L'uomo anziano lo guardò con occhi ironici.
— Cosa ti succede, Nick? — disse. — Stai tentando di soffocarti?
— Già — brontolò Calland. E pensò: Ha detto Nick. Almeno so il mio nome.
— Hai telefonato alla Hypersonic per quelle due pagine? — chiese l'altro.
— Non ancora — rispose Calland.
— Per il bene comune, non perdere tempo.
— Me ne occuperò — disse Calland.
E passò a ispezionare il prossimo oggetto rinvenuto nelle tasche. Un portafoglio scuro. Vi trovò otto pezzi di cartamoneta verde, e due pezzi stampati in rosso-bruno, ma non perse tempo a calcolarne l'importo. Poi notò un blocchetto di francobolli verdi, simili a quelli che aveva visti una volta in un museo. In un piccolo scomparto del portafoglio scoprì una serie di biglietti bianchi stampati in caratteri italici che dicevano NICHOLAS BRENT - ASSISTENTE DIRETTORE ALLA PUBBLICITÀ - ELECTRONICS. Sotto c'era stampato in carattere più piccolo un indirizzo che stabiliva la sede della ditta in Chancery Lane, Londra.
Un buon passo avanti. Dunque lui era Nicholas Brent e si interessava di una rivista di elettronica, con particolare riferimento alle inserzioni pubblicitarie. Non ne sapeva niente di pubblicità, ma quello era il suo lavoro. D'altro canto ne sapeva di elettronica più del direttore della rivista e di tutta la redazione messa insieme. Ad esempio, nessuno di loro sapeva niente di Loetze. Del resto non avrebbero potuto: Loetze sarebbe nato soltanto trecentocinquant'anni dopo. In ogni caso si trovava a Londra, come previsto. Non aveva mai sentito nominare un posto detto Chancery Lane, ma l'avrebbe trovato. Così come avrebbe trovato la statua di Eros, dove lui e Kay avevano appuntamento.
All'improvviso, il bisogno di vedere il suo nuovo corpo si fece acutissimo. Ma come e dove? Si disse che in qualche punto dell'edificio che l'ospitava dovevano esserci i locali con i lavabi e gli specchi. Si alzò, tornando a infilare nelle tasche della giacca il portafoglio, la scatola di sigarette e quella dei fiammiferi, e uscì dalla stanza conscio di essere seguito dallo sguardo dell'uomo anziano. Appena fuori dalla porta si fermò inspirando profondamente. Si sentiva teso e agitato. Certo non sarà facile, pensò, modellare in sé come in un informe blocco di creta la personalità di un uomo conosciuto da parecchia gente, diventare Nicholas Brent. Perché lui adesso era Nicholas Brent. Aveva imparato un paio di cosette, ma c'era ben altro da imparare. Un'idea gli balenò nella mente. Non sapeva se era sposato o no! E se Kay si fosse reincarnata nel corpo di una donna sposata? Come poteva aver trascurato un particolare tanto importante? Sospirò, amareggiato. Si era dedicato troppo ai problemi tecnici e tecnologici per preoccuparsi di problemi normali o di costume. Nella sua epoca il matrimonio era un fatto trascurabile. Come il delitto. Lui aveva ucciso Meillor, e adesso poteva essere sposato!
Si incamminò per il corridoio e scese una rampa di scalini. Aveva visto la porta di un ascensore ma sentiva la necessità di esplorare, con calma, da solo, tutto l'edificio. Altre due rampe di scale portavano in un atrio dalle solite pareti color crema, su una delle quali una serie di targhe unite in un solo quadro annunciava il nome delle varie ditte che avevano gli uffici lì dentro. Esitò un attimo poi, scartata una porta a vetri, oltrepassò l'ascensore dirigendosi verso una porta di legno scuro. Mentre la raggiungeva, questa si aprì per lasciar passare una ragazza dal faccino di topo, che sorrise cordialmente.
— Buongiorno signor Brent — gli disse, poi scomparve oltre un angolo.
Lui fissò pensoso la porta. Aveva notato che dava in un corridoio. Quindi decise di continuare la sua esplorazione. Percorse il corridoio, scese un'altra scala e finalmente raggiunse la sua meta.
Il locale era piccolo e piastrellato di bianco. E con un enorme specchio orizzontale sulla parete occupata da tre lavabi. Andò allo specchio e si guardò.
Era giovane. Terribilmente giovane. Forse poco più che ventenne. Aveva la faccia magra, capelli neri, occhi scuri, e la linea del mento e della mascella rivelava ostinazione. L'immagine riflessa nello specchio aveva indubbiamente un che di infantile, ma nella sagoma delle ossa sotto la pelle liscia c'era un'impronta di maturità.
Soddisfatto del suo aspetto, Calland sorrise. Era bello e giovane. Aveva ottenuto un completo ringiovanimento. Se avesse potuto scegliere non avrebbe fatto meglio.
Con aria spavalda, sicuro di sé, lasciò il locale, e risalì fin nell'atrio. Qui qualcosa lo fermò. Un grande orologio da parete avvertiva che erano le 12,10. Pensò a Kay e al loro appuntamento, e alla fine decise di avventurarsi per le strade sconosciute della vecchia Londra alla ricerca di Piccadilly Circus. Kay poteva essere già pronta, o non esserlo affatto. Poteva non essere in grado di andare all'appuntamento per molti giorni ancora, o anche per settimane. Questo dipendeva dall'esatto tempo e luogo e circostanze della sua reincarnazione. Però poteva anche darsi che fosse arrivata in quel mondo prima di lui, e che già da molti giorni avesse cominciato ad aspettarlo sotto la statua di Eros.
Spinse la porta a vetri e uscì.
Pioveva, e il cielo grigio incombeva pesante sopra i tetti appuntiti e ineguali delle case sporche, incredibilmente piccole che sorgevano attorno a lui. Richiamò alla mente la visione degli alti e immacolati grattacieli, e delle torri della Londra in cui era vissuto, prima della guerra atomica. Le vie strette erano stipate da lunghe colonne di variopinte scatole montate su ruote, di ogni forma e dimensione. Calland si rese conto che dovevano essere automobili e camion e furgoncini fra i quali si mescolavano enormi mostruosità rosse stipate di gente. Tutti quegli automezzi usavano benzina e motori Diesel, e seminavano nell'aria esalazioni velenose. Il giorno dell'avvento della propulsione atomica era ancora lontano. Curioso,pensò Phil Calland, ma in questo vecchio mondo io sono l'unica persona in grado di progettare e realizzare un piccolo e sicuro motore atomico. Quella era una conoscenza importante, ma poteva anche rivelarsi pericolosa. Ci penserò quando io e Kay, ci saremo organizzati,si disse.
Resistette al desiderio di sprecar tempo a esaminare le vetrine dei negozi, per quanto esse esercitassero su di lui il fascino di grandi bacheche di un immenso museo all'aria aperta. Per i particolari c'era tempo più tardi. Adesso erano più importanti le linee generali della sua avventura.
Alla fine di Chancery Lane sbucò in una strada più ampia. La targa indicava Strand Street. La pioggia gli aveva inzuppato gli abiti, e Calland si riparò per qualche minuto nell'ingresso di un negozio, a guardare il traffico e la gente frettolosa. SERVITEVI DI UN AUTOBUS, invitava una scritta sul fianco di uno dei grossi veicoli a due piani. Sì, ma quale autobus?,si chiese Calland. E quanto costa? Tolse di tasca il portafoglio e studiò le banconote, incerto sul loro valore. Decise che comunque dovevano essere sufficienti per farsi portare da un autobus fino a Piccadilly Circus, e poi indietro. Si avventurò di nuovo sotto la pioggia, attraversò la strada sfidando il rumoroso traffico, e andò a fermarsi dove aveva visto sostare due autobus, e dove alcune persone stavano in attesa. Dopo aver chiesto a un passante, salì su un autobus che portava il numero nove, e montò agilmente al piano superiore dove sedette a osservare il panorama offerto dal mezzogiorno londinese.
Ebbe qualche guaio con il bigliettario per i soldi. Pareva che le banconote verdi e scure, per quanto a corso perfettamente legale, non fossero esattamente del tipo da presentare al bigliettario di un autobus in un'ora di punta per pagare una corsa relativamente breve il cui costo era di soli quattro penny. Il bigliettario gli spiegò tutto questo in poche parole ben scelte, e non prive di ironia, poi gli chiese bruscamente: — Non avete spiccioli, giovanotto?
Non del tutto sicuro sul significato della parola spiccioli,Calland si frugò in tasca, a disagio per le occhiate curiose degli altri passeggeri. In una delle tasche, inaspettatamente sentì sotto le dita un mucchietto di piccoli oggetti a forma di disco. Li afferrò pronto e li portò alla luce. Erano di diverse grandezze, alcuni d'argento e altri di un metallo scuro, e innegabilmente monete.
Con un piccolo sbuffo d'impazienza il bigliettario prese un piccolo disco d'argento dalla mano di Calland, e in cambio gliene diede due più grandi e scure, insieme a una striscia di carta che recava delle scritte stampate in rosso e che l'uomo aveva estratto da una piccola macchina appesa in cintura.
— Grazie — gli disse poi, con dignità, e aggiunse brontolando tra sé: — Tutti a me capitano!
Calland trovò l'episodio alquanto imbarazzante, e sentì scomparire buona parte della sua sicurezza. Quello era semplicemente un assaggio delle difficoltà che avrebbe incontrato, problemi derivanti dalla sua ignoranza di usi e costumi, che per gli altri erano cosa scontata in quanto si trattava di abitudini assimilate sin dall'infanzia ma che lui avrebbe dovuto imparare e assorbire poco alla volta.
Rimise in tasca il portafoglio e gli spiccioli, e lesse l'iscrizione del biglietto. Ma ci capì ben poco. Il resto del tragitto avvenne senza altri incidenti. Del resto ci impiegò poco ad arrivare in Piccadilly. Le lancette del gigantesco orologio situato al di là della piazza segnavano la una meno venti. Non pioveva più, e dietro le nubi scure si annunciava l'imminente comparsa del sole.
Si mescolò ai passanti sentendo un certo sollievo all'idea di essere tornato anonimo e simile agli altri, ma ancora un po' sconvolto per l'incidente dell'autobus. Lì le strade erano più larghe, e gli edifici erano più alti, però non più puliti, e si respirava una cert'aria di grandezza, per quanto su scala ridotta. Le insegne al neon abbondavano, ma per lo più, data l'ora, erano spente. Per le strade il traffico era, se possibile ancora più intenso, ma i veicoli si muovevano, quando si muovevano, con velocità e sicurezza. Notò allora per la prima volta i semafori, e si fermò ad osservarli mentre cambiavano dal rosso al verde passando per il giallo, e regolando l'afflusso del traffico con i colori. Ingenuo,pensò. Come se per evitare che le macchine si scontrino non ci fosse altro mezzo che quello di fermarne la corsa! Fra qualche centinaio d'anni gli uomini avrebbero scoperto il sistema più logico delle strade a diversi livelli, in modo che il traffico potesse svolgersi liberamente, senza mai incontrare ostacoli, come il sangue scorre lungo le arterie e le vene e i capillari del corpo umano. Oltre a ciò, nella Londra futura dei suoi giorni, non era mai esistita una tale congestione di veicoli, perché le strade convenzionali erano cadute in disuso, e la maggior parte del traffico si svolgeva con aerei a decollo verticale. Questo nei giorni socialmente pacifici ma politicamente tesi, precedenti la guerra atomica che aveva distrutto la civiltà.
Quando si accorse che il suo lungo sostare con lo sguardo sulle luci dei semafori attirava l'attenzione dei passanti si mosse, preso di nuovo dall'imbarazzo, e attraversato il largo si trovò a fissare la statua di Eros. Era più piccola di quanto aveva immaginato, ed emanava un fascino più calmo di quello che traspariva dalle illustrazioni riportate nei testi di storia. La statua era situata al centro di uno spiazzo attorno al quale correva la strada circolare che Calland riconobbe infine per un rondò stradale. E in quello spiazzo c'erano parecchie persone. Il suo cuore accelerò i battiti.
Rapidamente scrutò la gente convenuta in quel ritrovo tradizionale. C'erano tre uomini. Uno fumava e sollevava frequentemente lo sguardo all'orologio, il secondo leggeva un giornale, l'ultimo reggeva una piccola macchina fotografica, e di tanto in tanto notava evidentemente qualcosa che secondo lui valeva la pena di fotografare, perché faceva scattare l'otturatore. E c'erano due donne, entrambe giovani, vestite con eleganza, e in evidente attesa di qualcuno.
L'impazienza lo spinse a scendere dal marciapiedi, ma l'urlo di un clacson seguito da uno stridere di pneumatici lo sollecitò a tornarsene sul marciapiede. Osservò il traffico, pronto a cogliere la possibilità di arrivare sino allo spiazzo della statua ma non ci riuscì finché le luci non passarono dal rosso al verde.
Arrivato al centro della piazzuola, esitò. Nell'eccitazione del momento si era completamente dimenticato che non avrebbe potuto riconoscere Kay a prima vista perché lei sarebbe stata entro un nuovo corpo. E nemmeno lei avrebbe potuto riconoscere lui. Improvvisamente, si ricordò che un attimo prima di dare il via alla trasformazione si erano accordati di portare appuntati sul lato destro dell'abito due fiori, uno rosso e uno bianco. Imprecò contro se stesso per la sua trascuratezza, e stava già per riattraversare la strada alla ricerca di un negozio nel quale si comprassero fiori quando si rese conto che non era necessario che entrambi portassero il segno di riconoscimento. Se Kay si era ricordata dell'accordo e portava due fiori, lui avrebbe potuto riconoscerla comunque, e si sarebbero riuniti dopo un incredibile balzo di quattrocento anni.
Prese a camminare lentamente attorno alla base della statua, osservando ogni donna. Una bionda, bella e ben fatta, ma senza fiori. Una signora alta e di tipo poco comune, con capelli neri e tratti aristocratici, ma niente fiori. Una ragazza formosa ma niente affatto attraente, abbronzata, e nessun fiore.
Strano, ma non appena affrontato l'ultimo lato dello spiazzo, vide per prima cosa i fiori. Parvero ingrossare come palloncini gonfiati, uno rosso e l'altro bianco, sullo sfondo di un soprabito grigio. Il suo cuore cominciò a sussultare impazzito per quanto una voce interna gli ripetesse che non poteva essere che si incontrassero così presto e così facilmente...
Mentre si affrettava verso i due fiori notò che la persona era indiscutibilmente una donna, ma, strano, stava seduta su un gradino al basamento di una statua, sopra un foglio di giornale spiegato sulla pietra, e nella sua posizione c'era un che di stanco. Portava un cappello nero, e nell'insieme aveva un aspetto sciatto. Inconsciamente rallentò il passo, avvicinandosi cauto.
I fiori erano garofani, un po' sciupati, uno rosso e uno bianco, appuntati sul lato destro di un soprabito che doveva aver conosciuto giorni migliori. Doveva essere proprio Kay.
Poi, quando fu ancora più vicino, guardò la faccia della persona che portava i fiori, e si trovò a fissare costernato gli occhi di una piccola donna rinsecchita, una vecchia dai capelli bianchi sotto il floscio cappello nero, e la pelle arida aderente alle ossa nella faccia solcata da ombre.
Gli occhi stanchi della donna fissarono i suoi con uno sguardo d'attesa, poi scivolarono sul risvolto destro della giacca. La delusione le incupì lo sguardo, ma le vecchie labbra si mossero come se lei volesse parlargli. Sconvolto, Calland vinse il desiderio di pronunciare il suo nome. Invece di parlare le voltò le spalle e si ingolfò frettoloso nel traffico destreggiandosi fra le macchine finché si trovò sul lato opposto della strada, sotto il grande orologio. Continuò a camminare, resistendo all'impulso di voltarsi indietro, mentre nella sua mente si affollavano pensieri caotici. Ho sognato,si disse. Ero così ansioso di vedere quei due fiori che ho sognato tutto. Oppure se là c'era veramente una vecchia signora seduta sui gradini sopra un giornale spiegato, allora ho sognato i fiori. Non poteva essere Kay...
Perché no? , chiese una voce muta nella sua mente. La trasformazione di Loetze può stabilire il tempo e il luogo, ma non l'età. Non l'età... non l'età...
Dio mio, pensò, se era Kay, aveva almeno ottant'anni. È impossibile!
Non l'età... non l'età... non l'età... ripeteva la voce.
Camminava come in trance, senza vedere niente, urtando le persone. Può essersi trattato di una coincidenza,si disse. La vecchia signora coi fiori può essersi trovata là per puro caso. Forse Kay non è ancora arrivata. La trasformazione di Loetze non funziona in modo così preciso. Fra i nostri due arrivi possono esserci giorni di differenza. Anche settimane. Tornerò domani, e dopodomani, e continuerò a tornare...
E se la vecchia signora coi fiori bianco e rosso sarà ancora là ad aspettare? chiese la voce.
Che cosa posso fare? , disse Calland in risposta. Cosa mi resta da fare?
E continuò a camminare per il labirinto delle strade londinesi.
III
Alle due e mezzo del pomeriggio Calland scoprì di essersi definitivamente perso in un dedalo di vie del tutto sconosciute. Trovò il coraggio di entrare in un piccolo ristorante, e mangiò affidandosi ai piatti del giorno per evitare il rischio di impantanarsi in qualche strana lista di vivande. In quell'occasione pagò con una banconota verde che non sollevò obiezioni. Si sedette a un tavolino, con il vassoio. Era affamato ma i suoi pensieri vagavano altrove.
Ora che l'attimo di orrore era in qualche modo passato, si sentiva portato a esaminare la situazione da un punto di vista pratico. In primo luogo non c'era la certezza assoluta che la vecchia signora fosse Kay. Una sola parola detta da lui o dalla donna avrebbe risolto la questione. Soltanto una parola. Ma non era stata detta, e in un certo senso Calland preferiva così. Nonostante i suoi sentimenti per Kay, nonostante tutto quello che Kay aveva significato per lui, sentiva la necessità di pensare ed esaminarsi. Comunque stessero le cose non poteva far niente sino al giorno seguente, quindi conveniva prendere in considerazione l'immediato futuro. Preoccuparsi in modo negativo non avrebbe risolto niente, invece c'erano parecchi problemi da risolvere.
L'ufficio, per esempio. Il lavoro di pubblicità che lui, come Nicholas Brent, avrebbe dovuto svolgere quotidianamente. Senza dubbio la sua assenza sarebbe stata notata, e al ritorno in ufficio avrebbe dovuto rispondere a delle domande. Ma non era certo in grado di dare risposte logiche e soddisfacenti. L'ufficio però non era ancora la cosa più importante. Veramente indispensabile era invece la sua situazione familiare, la casa, le conoscenze, le amicizie, tutto il sottofondo della vita domestica del signor Brent. Si rese improvvisamente conto di non sapere ancora dove abitava.
Lasciò a mezzo il piatto, e ancora una volta si frugò nelle tasche. Un mazzo di chiavi: un anello in cui erano infilate tre piccole chiavi del tipo usato per aprire le antiquate serrature a nasello. Le serrature elettroniche erano ancora di là da venire. Una custodia in pelle, e la fotografia di una piccola ragazza bionda con la faccia se non proprio bella certo interessante. Tolse la fotografia dalla custodia e lesse quello che c'era scritto dietro: Con amore Sheila. Rimise foto e custodia nella tasca interna della giacca, e vi trovò un cartoncino stampato al quale era attaccato un foglietto di carta. Sembrava una specie di permesso per guidare qualche veicolo a motore. Sul foglietto c'era scritto a macchina il suo nome e cognome seguito da un indirizzo: Beynon Garden, 6 - Londra - s. W. 7.
Ripose la patente. Eccomi battezzato e sistemato in casa pensò. Si comincia a funzionare. La matassa si dipana... e, nello stesso tempo, mi diventa sempre più estranea.
Uscì dal ristorante. Non era il caso di tornare in ufficio. Meglio andare direttamente in Beynon Garden per imparare il più possibile sulla sua casa e sulla gente con la quale viveva. Non sarebbe stato facile. Non poteva certo sperare di riuscire a comportarsi come il normale Nicholas Brent, perciò bisognava escogitare il sistema di sembrare normalmente anormale. Un'amnesia forse faceva al caso suo, Amnesia traumatica, conseguenza di un incidente. Nicholas Brent poteva essere scivolato e caduto sulle scale dell'edificio dove lavorava. L'unica prova che gli serviva per rendere plausibile la la storia era una ferita alla fronte. Abbastanza facile da procurarsi.
Continuò a rimuginare l'idea finché arrivò a una larga strada percorsa da automobili e autobus. Una targa bianca e nera attaccata alta sulla parete di un palazzo diceva Oxford Street,ma il nome non gli servì affatto per orientarsi. Fermò un passante per chiedergli quale fosse il modo migliore per arrivare in Beynon Garden, ma la risposta fu alquanto confusa. — Metrò — gli disse infine l'uomo agitando una mano in direzione della strada. — Prendete il South Kensington, ma poi dovrete cambiare. Chiedete il biglietto abbinato.
Disorientato, Calland riprese il cammino in cerca del metrò,e a un certo punto arrivò all'ingresso di una stazione sotterranea, e di colpo ricordò che la vecchia Londra era attraversata da strade ferrate che correvano nel sottosuolo, in tunnel bui. Negli anni della prima guerra atomica, quei tunnel sarebbero diventati alloggi di fortuna per una infinità di donne e bambini che cercavano scampo dalla radioattività della superficie. E alla fine, per mancanza di acqua e di cibo, i rifugi si erano trasformati in enormi catacombe. In seguito tutti i tunnel erano stati sigillati d'autorità quando le nuove tecniche dei trasporti avevano reso superato il sistema delle ferrovie sotterranee.
Con l'impressione di vivere nella preistoria, e pronto ad affrontare qualunque cosa il futuro gli offrisse, Calland comprò il biglietto, chiese le informazioni utili e si avviò lungo la piattaforma.
Il viaggio, per quanto breve, gli prese quasi un'ora, in parte per la difficoltà incontrata nel districarsi alla stazione in cui dovette cambiare treno, tanto che prese quello che andava a ovest invece del convoglio diretto a est, e in parte perché, arrivato finalmente a South Kensington, non gli fu tanto facile localizzare Beynon Garden. Finalmente si trovò a camminare lungo una strada alberata, fiancheggiata da alte case grigie e crema. Le finestre parevano occhi che lo fissavano senza espressione. Lungo tutto il marciapiede, da entrambi i lati, si allineavano file interminabili di macchine ferme.
Davanti al numero sei esitò un attimo, poi si decise e salì i quattro scalini che portavano al pesante portone di legno. Di fianco alla porta c'era un pannello verticale con una lista di sei nomi, e accanto a ogni nome, un pulsante. Nicholas Brent era il terzo nome.
Tese la mano verso il campanello, poi si bloccò. Doveva fare ancora qualcosa, prima. Si guardò rapidamente intorno. Non c'era nessuno. Allora si accostò a uno degli stipiti in pietra ai quali erano fissati i battenti, e addentatosi un labbro, con gesto deciso batté la testa contro la pietra e strofinò la fronte sopra la superficie ruvida.
Il dolore fu violento, ma non durò a lungo. Delicatamente passò le dita sulla ferita e notò soddisfatto la traccia di sangue rimasta sui polpastrelli. Eccomi pronto per l'amnesia,pensò, e premette il pulsante accanto al nome di Nicholas Brent.
Non accadde niente. Tentò ancora, e dopo alcuni minuti suonò per la terza volta. La porta rimase chiusa. Evidentemente in casa non c'era nessuno. La sua prima idea fu quella di andarsene per tornare più tardi, poi rifletté che dopo tutto lui era Nicholas Brent, e che quella era casa sua. E nelle tasche aveva il mazzo di chiavi. Niente gli impediva di entrare, anzi, meglio se fosse rimasto solo per qualche tempo. Avrebbe avuto la possibilità di guardarsi attorno e scoprire magari qualcosa che poteva aiutarlo a farsi un quadro della situazione. Estrasse le chiavi e le provò una a una nella serratura. La terza funzionò. Nell'atrio cominciavano le scale coperte di linoleum scuro. Su un lato, una porta recava la targhetta con scritto SIG. A. HEUTZER. Salì le scale sino al primo piano, dove due porte si fronteggiavano. La seconda era quella che lui cercava. La targa diceva: SIGNORA E. BRENT. Pensò un po' a quel signora,e poi infilò nella serratura una delle chiavi. La porta si aprì con un leggero scatto. Calland avanzò cauto nell'appartamento.
L'ingresso era piccolo e buio, con una lampada appesa al soffitto. Ma non riuscì a trovare l'interruttore. Oltre il vestibolo, un breve corridoio portava a un ampio locale dal soffitto altissimo decorato, e con un'alta finestra che si affacciava sul viale alberato. Le pesanti tende verdi erano parzialmente tirate, e la stanza appariva in penombra. I mobili erano antiquati ma funzionali: due enormi poltrone rivestite di pelle erano poste di fronte a un immenso camino in marmo, nel quale la grata era stata tolta e sostituita con un semplice impianto di fuoco elettrico. Vicino alla finestra, uno stretto tavolo di legno lucido, sul quale posavano alcuni vasi pieni di fiori, molti dei quali avevano bisogno di essere cambiati. Gli angoli della stanza ospitavano mobili più funzionali: una libreria coi vetri scorrevoli, zeppa di vecchi volumi, un divano che posava su gambe sottili, una specie di scatola rettangolare, forse un giradischi, e un tavolo rotondo col ripiano di vetro, che sosteneva una serie di bottiglie e bicchieri. Alle pareti, lampade in metallo lavorato. La stanza era dipinta in grigio, col soffitto bianco. Un grande tappeto copriva quasi completamente il pavimento. Era a fiori bianchi e rosa su uno sfondo verde, intonato con le tende. Vicino alla porta, un piccolo tavolino sosteneva l'apparecchio telefonico.
Calland andò alla finestra e aprì del tutto i tendaggi. La stanza diventò subito più luminosa e accogliente. Sopra il camino era appeso uno specchio. Ci si guardò. La ferita sulla fronte era appena un graffio, ma attorno la carne era gonfia e tumefatta, e il sangue raggrumato la faceva sembrare più grave di quanto non fosse. Soddisfatto, continuò l'ispezione dell'appartamento.
C'erano due camere da letto. Una, con tendine di cinz e un tono decisamente femminile, doveva essere la camera della signora Brent. Mia madre o mia moglie?,si chiese. L'altra, più austera, con un piccolo letto di ferro, aveva un aspetto inequivocabilmente maschile. Oltre al letto di ferro, c'era una libreria zeppa di romanzi e di riviste, e un'antiquata scrivania su cui spiccava una busta azzurra.
La prese. Era indirizzata a lui. Per un attimo, la tenne fra le mani, indeciso, poi si disse che doveva essere arrivata con la posta del mattino, dopo che lui era uscito per andare in ufficio. Scuotendosi di dosso un certo senso di colpa, aprì la busta e lesse le poche righe scritte a mano.
Caro Nicholas,
Ti ringrazio per avermi invitato al tuo matrimonio. Ci verrò sicuramente. Approfitto fin d'ora per augurare tanta felicità a te e Sheila. Arrivederci in chiesa il 14 aprile.
David
Un brivido attraversò il cervello di Calland. Le parole di quella lettera cominciarono a ronzargli nella testa in una specie di fantastica giostra. Matrimonio... Sheila... 14 aprile... Doveva sapere subito che giorno era. In vista non c'erano calendari, perciò aprì il cassetto della scrivania frugando fra le lettere e altre carte finché trovò un diario. Lo afferrò con un senso di sollievo, ma si rese conto immediatamente che un diario in sé non gli avrebbe risolto il problema. C'erano diverse annotazioni per alcuni giorni del mese di aprile. Compresa la parola inguaiato scritta nello spazio riservato al giorno 14, e capì anche il significato dell'appunto Costa Brava,segnato al giorno seguente. Il nome di Sheila ricorreva qua e là alternato o unito ad altre parole curiose che potevano essere nomi di persone e di locali. Evidentemente si trattava di appuntamenti.
Deluso e innervosito, tornò nella grande sala, e finalmente vide un giornale accuratamente piegato e posato per terra accanto al tavolinetto del telefono. Lo sollevò con delicatezza, perché un giornale era diventato cosa di immenso valore nel mondo da cui Calland era appena fuggito. La testata, in vecchi caratteri inglesi, era quella del Daily Courier,ma il suo sguardo andò subito ai titoli degli articoli. K ammonisce l'Ovest,e il sottotitolo: Missili pronti dietro la cortina di ferro. Scorrendo in fretta l'articolo colse alcune frasi qua e là:... in grado di partire dopo dieci minuti...; risposta all'aggressione americana..., portata di novemila chilometri..., Bombe con testata nucleare in grado di distruggere Londra e New York..., occorre riprendere la conferenza al vertice su altri principi...
Sorrise amaramente. Quello era stato l'inizio di tutto. Per quello lui e Kay erano stati costretti a tornare indietro. Ma la guerra atomica non si sarebbe scatenata ancora per una generazione. Prima l'uomo avrebbe raggiunto la Luna e vi avrebbe sistemato le sue basi, pronto al lungo balzo verso gli altri pianeti. C'era ancora tempo.
I suoi occhi colsero un altro titolo, meno vistoso ma ugualmente rilevante: Satellite USA in orbita attorno alla Luna. E il testo nel solito fraseggiare sintetico dei giornalisti: Il satellite spaziale USA Warderer IV lanciato quattro giorni fa dalla base di Broad Flats, Florida, è entrato in orbita attorno alla Luna. Gli strumenti di bordo trasmettono per il momento soltanto immagini. Per la prima volta nella storia l'uomo potrà vedere effettivamente l'altra faccia della Luna.
Ci vorrà ancora tempo , commentò Calland, mentalmente. Tempo per arrivare sulla Luna, tempo per andare oltre. Scorse le righe in piccolo carattere, accanto alla testata e scoprì la data: 5 aprile 1961. Fece il calcolo e si accigliò. Credevo di più,pensò. In fondo mancano ormai pochi anni...
Poi il suo pensiero tornò ad argomenti più immediati. Matrimonio... Sheila... 14 aprile... Nove giorni ancora. Nove giorni per evitare un matrimonio imminente, e trasformarsi in un normale membro della società nella quale era piombato, non invitato e insospettato.
Ricordò il tavolo con le bottiglie, e i bicchieri, e lasciato cadere il giornale andò a farne una ispezione. Whisky, gin, sherry dicevano le insolite etichette, ma qualcosa gli diceva che doveva trattarsi di roba alcolica. L'Ambrosia e il Synectine erano ancora lontani più di un secolo. Osservò le bottiglie e provò ad annusare il contenuto. Poi, deciso che i tre aromi erano ugualmente poco attraenti per lui, si versò a caso un dito di whisky e lo bevve in un sorso.
Signor Nicholas Brent , si ripeté per l'ennesima volta, mentre il liquido gli bruciava la gola, e lo stomaco, lavoro in pubblicità, abito in Beynon Garden e sto per sposare una ragazza che si chiama Sheila...
Che situazione! Tolse dalla tasca interna la fotografia della ragazza e l'esaminò attentamente. Avrebbe potuto benissimo sposarla, e sarebbe stato accettato come Nicholas Brent, eppure lui era tutt'altra persona, e lei era un'estranea che apparteneva a un lontanissimo passato. Si trattava davvero di una situazione particolare da cui la moralità usciva alquanto bistrattata. Ma non c'era molto tempo da dedicare ai problemi morali. Se fosse stato lui solo a fare quel viaggio attraverso il tempo, questo sarebbe stato un motivo valido per sposare la ragazza e sistemarsi nel ventesimo secolo. Ma non era venuto da solo. Presto o tardi Kay si sarebbe riunita a lui. Non il vecchio rudere che sedeva sui gradini della statua di Eros, ma Kay, la donna che lui amava. Certamente si sarebbero riuniti, ma restava il fatto che lo aspettava un lungo periodo di intrighi e di schermaglie. Per un certo tempo la vita sarebbe stata un brutto inferno.
Però ho un grande vantaggio su questa gente , pensò, per rassicurarsi. Un vantaggio di quattrocento anni. E ho sviluppato in me l'astuzia di cui si ha bisogno per sopravvivere in un mondo radioattivo, distrutto da una guerra atomica. Ce la farò. Devo farcela!
Decise di stabilire un piano di azione, e si versò ancora un po' di whisky, bevendo poi distrattamente. Per quel giorno non era il caso di far niente. Del resto doveva riposare. E di pensare, di far progetti, La signora Brent, per esempio, qualunque fosse il suo rapporto con lui, era evidente che abitava lì, quindi sarebbe ben tornata da un momento all'altro. Lui avrebbe dovuto parlarle, e approfittarne per imparare il più possibile su se stesso. Il giorno seguente sarebbe tornato all'appuntamento alla statua di Eros. L'ufficio poteva aspettare. Prima doveva apprendere qualcosa in merito. Per il momento c'era la storia dell'incidente che per un paio di giorni avrebbe scusato la sua assenza. Bisognava che dimostrasse di essere malato, ma non in maniera grave. E di soffrire di amnesia, fino a un certo punto.
Se avesse fatto le cose per bene lo avrebbero accettato per quello che era, o piuttosto per quello che sembrava, senza insospettirsi.
Andò alla finestra per guardare giù nella strada deserta. Prima o poi la signora Brent sarebbe tornata.
Era alta, bionda, con un soprabito scuro e un pesante abito grigio. La sua faccia era rosea e liscia come quella di una bambola, e gli occhi azzurri avevano uno sguardo vivace. Ma i lineamenti si erano induriti per l'età, perché la donna era sufficientemente anziana da poter essere sua madre. Circa cinquant'anni. Forse qualcuno di più, a guardarla meglio.
Entrò nell'appartamento dopo aver aperto la porta con la propria chiave e andò subito in sala. Diede a Calland una breve occhiata, e non dimostrò alcuna sorpresa. — Sei tornato presto, Nick — disse.
Lui non rispose. Stava in piedi accanto alla finestra con un bicchiere di whisky in mano. Dopo tre bicchieri, il cervello, non abituato agli effetti dell'alcol, gli ondeggiava dolcemente nel cranio. Era una sensazione piacevole, quasi esilarante, e lui ne provava un senso di benessere.
La donna si tolse il soprabito e lo buttò sopra la spalliera di una poltrona, poi accese una sigaretta aspirando il fumo energicamente, come se ne fosse affamata. Gli andò più vicino.
— E stai già bevendo — disse. — Sei preoccupato per qualcosa?
— No — rispose lui, teso.
— Che ti sei fatto alla testa?
Lui si toccò delicatamente la ferita. — Sono scivolato sui gradini e sono caduto. Allora ho preferito venire a casa e riposare per un po'.
Lei esaminò il danno con aria professionale. — Niente di serio — disse sollevata. — Stai bene?
— Benissimo.
— Non è meglio consultare un medico?
— Non è necessario.
La donna si strinse nelle spalle e si lasciò sprofondare sul divano, sospirando. — Santo cielo, Nick, come sono stanca — disse. — Credo che mi cercherò un altro lavoro. Ormai sono troppo vecchia per stare in piedi tutto il giorno. Però lì lo stipendio è buono, e io ho bisogno di soldi.
— Sì, certo — rispose lui, vago.
— Per favore, versami un bicchiere già che sei in piedi. Il solito.
La guardò, a disagio. — Il solito?
— Naturale! Ci deve essere ancora del tonic. Se no, dammi un dry ginger.
Calland si accostò al tavolo e cercò fra le bottiglie finché gli parve di aver trovato quella che rispondeva alla richiesta. L'etichetta portava le parole Indian Tonic Water. Tentò di rimuovere con le dita il coperchio metallico ma si accorse subito che sarebbe stato impossibile. Cercò ancora, e provò un gran sollievo quando scoprì un piccolo arnese in acciaio la cui forma dichiarava apertamente di servire come leva per sollevare il tappo della bottiglia. Il suo primo tentativo fallì, ma finalmente il tappo saltò via. Calland versò il contenuto della bottiglietta in un bicchiere conico e lo portò alla signora bionda.
— Cos'è questa roba? — chiese lei sbirciando il contenuto del calice.
— Quello che hai chiesto — rispose Calland.
La donna assaggiò e fece una smorfia. — Che cosa ti succede, Nick? — disse. — Non ci hai messo nemmeno una goccia di gin! E comunque lo sai che non mi piace bere in questi bicchieri.
— Me n'ero dimenticato — mormorò lui. — Scusami.
— Nick — disse lei, osservandolo sorpresa, — sei sicuro di sentirti bene?
— Sì, sto benissimo. Solo che... dopo l'incidente mi sento un po' stanco. Forse farò bene a riposare, questa sera. Magari andrò a letto presto.
— E Sheila?
— Ma, veramente... — cominciò Calland chiedendosi in che modo Sheila fosse collegata con la serata.
— Ti eri messo d'accordo per portarla a teatro — disse la donna.
— Oh, sì, naturalmente — disse lui col tono di chi ricorda di colpo una cosa importante. — Le telefonerò.
— Perché non le dici di venire qui? Io però devo uscire. Ho promesso ai Conway di andarli a trovare.
— Farò così — rispose Calland.
La signora Brent spense la sigaretta in un posacenere, andò al tavolo e versò del gin nel bicchiere di tonic. — Se tu non esci, allora prenderò io la macchina. Odio aspettare quei noiosi autobus.
— Va bene — disse lui, augurandosi che la donna uscisse al più presto possibile. Sostenere la conversazione si era rivelato più difficile di quanto avesse pensato.
Lei si accostò alla finestra sorseggiando la sua bevanda, poi guardò giù nella strada. — Dove l'hai parcheggiata? — gli chiese.
Dovette concentrarsi un attimo per capire che alludeva alla macchina. E adesso, qual era la risposta giusta? Lui non sapeva assolutamente niente della macchina di Nicholas Brent.
— Non la vedo da nessuna parte — disse lei continuando a ispezionare la strada.
— Dopo l'incidente ho pensato che non fosse prudente guidare — rispose Calland in tono disinvolto. — Mi sentivo un po' scosso. Così sono tornato a casa con la sotterranea.
La signora Brent si voltò a guardarlo. — Non mi dirai che hai lasciato la macchina in città? — chiese, esasperata.
— Temo proprio di sì.
— Allora dovrò tornare all'idea dell'autobus — disse lei, rassegnata. — Comunque farai meglio a telefonare a Sheila, così saprò se viene o no.
— Più tardi.
— Perché non adesso?
Lui la guardò, incapace di pensare una risposta plausibile. L'espressione della donna si velò di sospetto.
— Perché non vuoi telefonare subito a Sheila?
Calland si passò le dita sulla fronte. — Ho mal di testa. Preferisco aspettare che...
— Nick, tu mi nascondi qualcosa — disse la signora Brent andandogli vicino, e scrutandolo. — Quell'incidente è stato più grave di quanto mi hai detto, vero?
I modi della donna cominciavano a irritarlo. Quell'interminabile interrogatorio lo infastidiva. Era venuto il momento dell'amnesia. Si limitò a rispondere con un cenno della testa.
— Dimmi il numero di telefono di Sheila — disse la signora Brent.
— Credo di non averne la più piccola idea...
— Vuoi dire che non te lo ricordi?
— È così.
— Cos'altro non riesci a ricordare?
— Oh... molte cose.
— Mi dici di che tipo e di che colore è la tua macchina? — chiese la donna, con voce decisa.
Lui scosse la testa.
— E il numero della targa?
— Io... io non lo so.
— Qual è il cognome di Sheila?
Lui fece un sorriso stupido e scosse ancora la testa.
Lei lo fissò un momento, poi in tono definitivo chiese: — Chi sono io?
Diede la risposta più logica. — Mia madre, naturalmente.
Nella voce della signora Brent c'era una nota di ansietà quando rispose: — Ti sbagli, Nick. Io sono tua zia. Tuo padre e tua madre sono morti insieme sotto un bombardamento, durante l'ultima guerra. Peter e io ti abbiamo cresciuto come nostro figlio e ti abbiamo dato il nostro nome. Non ti ricordi?
— No — rispose Calland, stanco. — Peter... dov'è?
— Abbiamo divorziato due anni fa.
Poi, senza aggiungere altro la signora Brent attraversò la stanza, alzò il ricevitore del telefono e compose un numero.
— Che cosa fai? — chiese Calland.
Nella donna l'ansietà si sfogava in azione. — Chiamo un dottore — rispose. — Se quella botta in testa ti ha fatto dimenticare tante cose importanti, significa che hai bisogno di un medico.
Calland sospirò, rassegnato all'inevitabile.
IV
Il medico era un ometto tondo e rosso sulla sessantina, con una sottile corona di capelli attorno al cranio calvo. I suoi occhi verdi parevano lontani e privi di espressione dietro le spesse lenti bifocali.
Ascoltò pazientemente il racconto che la signora Brent gli fece sull'improvvisa perdita di memoria di suo nipote, poi procedette a un esame generale delle condizioni del paziente, che si era messo a letto e si sentiva un po' agitato. La ferita sulla fronte venne trascurata dopo una breve ispezione delle dita del medico. Abrasione superficiale, dichiarò, che sarebbe guarita in tre giorni. Apparentemente non c'erano contusioni né danni di altro genere al cranio, e non c'era nemmeno alcun motivo per sospettare che l'incidente fosse stato tale da giustificare un trauma anche in forma lieve. Il medico concluse che le condizioni generali del paziente erano ottime e che quanto era successo alla sua mente non poteva essere imputabile alla caduta.
Dopo l'esame fisico il dottore cominciò a interrogare Calland facendogli un mucchio di domande apparentemente poco importanti, una specie di prova di associazioni di idee. Lui diede risposte astute e non sempre rispondenti alla verità, regolandosi su una specie di legge non ancora scritta ma valida al suo scopo, e alla fine capì che il medico era rimasto disorientato.
Più tardi, attraverso la porta della camera da letto rimasta aperta, lo sentì discutere le sue impressioni con la signora Brent.
— Certamente non è il caso di preoccuparsi — disse il medico. — Non ci sono assolutamente tracce di traumi al cervello, e le sue condizioni mentali non spiegano l'amnesia. Per essere più chiaro dirò che non si tratta tanto del caso di chi non ricorda quanto di quello di chi non sa. In effetti ci sono i sintomi di una lieve schizofrenia. È come se avesse acquistato una nuova personalità che non ha alcun punto di contatto con il suo vero essere. Di conseguenza non c'è legame di continuità nei ricordi. Il nuovo Nicholas Brent è in un certo senso una persona completamente diversa, con pensieri diversi, e diversi ricordi, e un diverso modo di comportarsi. Ma per tutto il resto è rimasto lo stesso. Avrà bisogno di molta comprensione e di attenzioni.
— Cosa si può fare perché guarisca? — chiese la signora Brent.
— Niente — rispose il medico. — Oltre un completo trattamento psichiatrico, che non ritengo necessario, non si può fare niente. Il fenomeno è una conseguenza della sfortunata caduta abbinata senza dubbio a una certa tensione emotiva derivata dal suo prossimo matrimonio. Credete che possa esserci qualche oscuro motivo perché lui non desideri sposare quella ragazza?
— Nessuno, che io sappia, dottore.
— Comunque vi ho detto la natura del male. Leggerissimo shock traumatico unito a un conflitto emotivo di qualche genere. Sono sicuro che si riprenderà naturalmente, forse entro la stessa nottata. Ha bisogno di riposo e di sonno.
— Ditemi, dottore — chiese la signora Brent — la sua fidanzata potrebbe venirlo a trovare questa sera?
— Non lo consiglio — disse il dottore senza esitazioni. — Nel suo stato attuale potrebbe anche non riconoscerla, e in questo caso la presenza della ragazza servirebbe solo ad aggravare il suo conflitto interiore. Meglio lasciarlo tranquillo. Se entro due o tre giorni non migliorasse, allora può rivelarsi necessario un trattamento psichiatrico.
— Capisco.
— Nel frattempo deve restare in casa, e non deve occuparsi del lavoro.
— Non ho nessuno che possa prendersi cura di lui, dottore. Anch'io lavoro.
— Non ha importanza, signora Brent. È, in grado di badare a se stesso. Fisicamente è in ottima forma. È solo la sua mente che deve riassestarsi e mettersi di nuovo in grado di affrontare la realtà.
Il medico se ne andò pochi minuti dopo, e Calland ebbe tempo per pensare. Schizofrenia e sdoppiamento della personalità. Diagnosi abbastanza esatta. Più giusta persino di quel che il dottore stesso pensava, a parte il fatto che delle due personalità una aveva addirittura preso il posto dell'altra, e il nuovo ego aveva prevalso sul vecchio. Il corpo era il medesimo, ma la mente che lo abitava e lo controllava era diversa. E per guarire non c'era nessun mezzo in tutto il campo delle conoscenze mediche e psichiatriche del ventesimo secolo. E nemmeno del ventiquattresimo.
La donna bionda tornò nella sua camera.
— Il medico ha detto che sei in ottime condizioni — gli disse. — Si tratta soltanto di un leggero shock. Per domani sarai guarito. Ritiene però che dovresti riposare per qualche giorno.
— L'idea non mi dispiace — rispose Calland.
— Ha detto anche che per un paio di giorni non dovresti rivedere Sheila.
— Va bene.
— Le telefonerò, Nick, spiegandole come stanno le cose. Intanto tu cerca di dormire. Io uscirò per un paio d'ore e farò in modo di tornare il più presto possibile.
— D'accordo — disse lui.
Gli scompigliò i capelli con una carezza affettuosa. — Non ti preoccupare, caro. Una notte di sonno e tutto andrà a posto.
Calland represse a stento un sorriso ironico.
Poco dopo che la signora Brent se n'era andata, qualcuno suonò il campanello. A lungo e insistentemente. Calland lo ignorò, ma il visitatore insistette, testardo, e alla fine lui sgusciò dal letto, e infilata sopra il pigiama a righe bianche e rosse una vestaglia che pendeva dall'attaccapanni dietro la porta della stanza, percorse il corridoio e andò ad aprire. Si trovò di fronte l'attraente ragazza della fotografia.
— Nick, caro! — disse lei, rifugiandosi fra le sue braccia.
— Salve, Sheila — rispose, ricambiando l'abbraccio con riluttanza.
— Nick, dovevo venire — gli disse lei, affannata. — Quando tua zia ha telefonato non ho saputo cosa dire. Poi mi sono resa conto che dovevo vederti. Spero che lei non si arrabbi con me...
— La zia è uscita — disse Calland. — Entra pure, Sheila, ma sarà meglio che tu non rimanga molto.
Entrarono in sala. Sheila gli si mise di fronte posandogli le mani sulle spalle, e lo guardò fisso. Lui la osservò con discrezione, fin troppo conscio della sua vivace bellezza e di una irresistibile personalità. I capelli neri e lunghi brillavano sotto le luci, e gli occhi erano scuri e vivi, la figura, morbida e delicata. Indossava un semplice vestito grigio e una giacca verde. Un grosso diamante scintillava al suo anulare sinistro.
— Oh, Nick, la tua povera testa! — esclamò. — Che cosa ti è successo?
Calland si strinse nelle spalle. — Niente di grave. Sono scivolato sulle scale e sono caduto. Il dottore dice che lo shock mi ha provocato una specie di amnesia o schizofrenia o qualcosa del genere.
Lei lo fissò incredula per qualche secondo. — Schizofrenia! Raccontami tutto, Nick.
— Non c'è molto da raccontare. Non riesco a ricordare certe cose. Pare che mi sia dimenticato di avere una macchina, e l'ho lasciata parcheggiata in città. E poi pensavo che mia zia fosse mia madre, e non riuscivo a ricordare il tuo numero di telefono. Ecco... cose di questo genere.
— E le cose importanti te le ricordi? — chiese la ragazza. — Per esempio, ti ricordi di volermi bene?
Lui sorrise ironicamente. — Se sapessi chi sei potrei rispondere alla domanda.
Sheila fece finta di picchiarlo con i pugni stretti. — Nick, non fare il mostro. Amare una persona non c'entra con la memoria. Io sono quasi tua moglie. Non mi dirai che ti sei dimenticato anche di questo?
— Sediamoci — disse Calland, in tono normale, e la guidò verso il divano.
Sheila si sedette, guardandolo mentre lui restava in piedi davanti a lei.
— Vuoi bere? — le chiese Calland.
— Sì, grazie, caro.
— Cosa preferisci?
Sheila inarcò un sopracciglio in espressione sarcastica. — Oh, ma allora hai proprio perso la memoria, Nick! — esclamò. — Scotch e soda naturalmente.
Lui andò al tavolino reso perplesso dalla parola scotch. Poi, esaminando le etichette si accorse che scotch e whisky erano sinonimi, e che soda era quella roba incolore nelle bottigliette. Mise in due bicchieri una dose uguale dei due prodotti e tornò verso il divano dove sedette accanto alla ragazza.
— Alla schizofrenia! — disse Sheila.
— Ce n'è bisogno — fece Calland, lottando contro l'attrazione che la ragazza esercitava su di lui. O si tratta del metabolismo oppure è un fatto fisiologico,pensò. In fondo io abito nel corpo di un uomo che era innamorato di lei. Se il fenomeno coinvolgeva una funzione di chimica ormonica, allora è logico che anch'io ne senta gli effetti. Devo ammettere che Sheila è un magnifico esemplare femminile. In circostanze normali sarebbe irresistibile, specialmente per un tipo come me. Lo strano è che io sono abbastanza vecchio da esserle padre. Io sono un uomo anziano dentro il corpo di un giovane, e qui c'è una bella ragazza poco più che adolescente, la quale cerca di avvincermi. Ma in fondo, perché non dovrebbe? Stando ai fatti dovremmo sposarci fra pochi giorni!
Errore , pensò ancora. Lei e io non dobbiamo affatto sposarci. Lei crede che io sia Nicholas Brent, il ragazzo di cui è innamorata, ma in effetti io non sono lui. Sono soltanto un estraneo arrivato da un lontano futuro. Lei però non lo sa, quindi non capisce la differenza... che è stata catalogata o come leggera amnesia traumatica o schizofrenia. Anche in quest'epoca primitiva gli uomini avevano dunque una spiegazione scientifica per tutto quello che non capivano. Devo giocare attentamente le mie carte, decise. Io sono adesso un nuovo Nicholas Brent che deve assistere agli aventi nei quali è coinvolto, osservandoli, e per quanto è possibile senza dimostrare alcuna reazione.
Poco dopo doveva scoprire che la cosa non era del tutto possibile. Sheila gli tolse il bicchiere di mano e lo posò su un tavolinetto insieme al suo, poi gli circondò il collo con le braccia e premette la guancia contro la sua in un gesto affettuoso. — Nick caro — disse. — Sono seduta qui da tre minuti e non mi hai ancora baciata.
Quindi voltò il viso in attesa di un bacio, e Calland non riuscì a trovare nient'altro da fare che baciarla. Poi la baciò di nuovo, trovando l'esperienza piacevole ed eccitante, ma sciupata da un sentimento di colpevolezza. Quando Sheila gli si strinse maggiormente contro, la respinse. Lei lo guardò con muta protesta.
Calland si alzò, recuperò il suo bicchiere e incominciò a passeggiare per la stanza, parlando tranquillamente e lanciandole di tanto in tanto qualche occhiata. — Sheila — le disse. — Non voglio che tu prenda troppo alla leggera la diagnosi del medico. La verità è che le mie condizioni mentali sono peggiori di quanto si sospetta. Non è questione di shock o di amnesia. Qualcosa ha distorto la mia mente, l'ha cambiata, e non credo che mi si possa curare. Voglio che tu capisca che io non sono più la stessa persona. Penso in modo diverso. Sento in maniera diversa. E per me, ora, tu sei un'estranea. Io non so chi tu sia.
Sheila lo guardò con aria solenne, a occhi spalancati. Per un attimo Calland pensò che sarebbe scoppiata a piangere, ma la ragazza si dominò.
— Caro — disse — stai dicendo un mucchio di sciocchezze. Naturale che sei la medesima persona, ma è logico che tu senta in maniera diversa e che tu non possa ricordare altre cose, se soffrì di amnesia. Questo però non fa alcuna differenza per noi. Io ti amo, Nick.
— Ma io non amo te — disse Calland.
Sheila gli andò vicino e lo afferrò stretto per un braccio. — Non lo dire mai! — esclamò. — Non è vero! Non puoi essere cambiato così di colpo soltanto perché... — L'ira cadde immediatamente lasciando posto all'affanno. — Oh, Nick, come non capisci che si tratta solo di una cosa temporanea? È una specie di malattia, perciò ti cureranno. Domani forse sarai già tornato normale e ti domanderai cos'è stata tutta questa storia.
— No — rispose Calland in tono fermo. — Io sono normale anche adesso, non c'è niente da curare. Devi cercare di capire, Sheila. Non voglio farti del male, ma devi affrontare la realtà.
Lei gli posò una mano sulle labbra per farlo tacere. — Basta, Nick. Non dire altro. Ne parleremo un'altra volta, dopo che ti sarai riposato. Ora, ti prego, Nick, vieni a sedere.
Lo prese per un braccio forzandolo a seguirla, ma lui si liberò. — Ci vorrà del tempo per convincerti — disse. — Naturalmente tu pensi che io stia attraversando una fase momentanea, ma ti assicuro di non essere mai stato più lucido e ragionevole in vita mia.
— Caro, vorrei che tu la smettessi di parlare — disse Sheila, guardandolo imbronciata. — Per favore, vieni qui. Ti verserò un altro po' di whisky.
Lui scosse la testa.
— Nick, non essere così testardo.
— Sto cercando di essere leale con te — rispose lui, calmo. — Non voglio lasciarmi trascinare in false intimità che renderebbero più difficile la rottura.
— Rottura?
— Fra te e me. Sheila, devo essere onesto. Non avremo un nostro futuro. Il matrimonio fra noi è fuori discussione.
L'ira tornò ad affiorare negli occhi della ragazza, ma la sua voce fu calma e controllata. — Nick, non credi che sarebbe meglio riparlarne quando ti sarai rimesso del tutto? Per favore, caro, smettila di chiacchierare...
— È meglio invece dire subito quello che c'è da dire — disse Calland. — Così nei prossimi giorni potrai renderti conto che il mio contegno nei tuoi confronti non cambierà. Domani, o dopodomani, o un altro giorno, io ti direi esattamente le stesse cose.
— Basta! — gridò Sheila improvvisamente, guardandolo disperata. Calland dovette lottare contro un forte senso di colpa, e resistette all'impeto di prendere la ragazza tra le braccia e di mormorarle parole gentili, di dirle che si era sbagliato, sbagliato completamente, e che tutto fra loro sarebbe andato bene. Ci riuscì pensando che il suo contegno era quello giusto. Al punto in cui stavano le cose doveva essere deciso, anche se avesse dovuto dimostrarsi crudele.
— Nick — disse lei, lentamente, quasi sul punto di piangere, — non sai quello che stai dicendo. Perché non tralasci di pensare a questa storia, per il momento? Vai a letto e cerca di dormire. Domani ti sentirai in tutt'altro modo, vedrai.
— Va bene. Farò così. Tu però vai subito a casa.
— Sì, Nick. Ci vedremo domani sera.
— Se vuoi.
— Mi prometti che smetterai di pensare a queste brutte cose e dormirai?
— Ci proverò.
— Per favore, dammi il bacio della buonanotte.
Calland l'accontentò, poi le fece strada fino alla porta. Sheila era pallida e sembrava stanca. Tutta la vivacità era scomparsa dal suo sguardo. Si augurarono ancora la buonanotte in modo molto formale, poi lei se ne andò. Calland guardò dalla finestra per vederla allontanarsi, ma la ragazza non sollevò gli occhi. Piuttosto sorpreso la vide attraversare la strada, salire su una piccola macchina verde e guizzare via.
Improvvisamente la strada gli parve vuota e desolata. La solitudine si fece sentire in lui, e l'uomo si guardò attorno desolato cercando di richiamare alla mente le parole esatte che aveva detto alla ragazza per analizzare la strategia usata. Forse ho affrettato i tempi,si disse, ma d'altro canto è bene affrontare subito la strada che si intende seguire. Tutto ha minacciato di naufragare però quando l'ho baciata. In quel momento mi sono reso conto di quanto sarebbe stato facile venire trascinati in una situazione amorale usando il corpo di un altro e sfruttando la relazione di quest'altro con una donna. Se devo vivere fra questa gente, per lo meno devo fissare ben chiara la mia personalità. Non posso prendermi in prestito gli amici e le conoscenze di Brent, e meno di tutti questa ragazza. Alla lunga io devo tornare ad essere Calland e non più Brent. Il cambio dei corpi è soltanto un inconveniente puramente fisico.
Le cose sarebbero potute andare peggio, e se ne rese conto. Se la trasformazione di Loetze l'avesse portato qualche settimana più avanti si sarebbe trovato sposato a Sheila, il che avrebbe reso tutto immensamente più difficile. Comunque pareva che l'avventura si mettesse per il meglio. Si trovava quasi a suo agio in quel vecchio mondo, e aveva un posto confortevole dove vivere e dormire. L'unico grande problema era Kay. Ma l'avrebbe ritrovata.
Sentendo fame, andò in cerca di qualcosa da mangiare. Scoprì il frigorifero e scelse un pezzo di formaggio, che annaffiò con un bicchiere di latte. Poi tornò a letto.
Era ancora sveglio quando la signora Brent tornò verso le dieci. Ma lui aveva spento la luce e fingeva di dormire. Lei entrò a dargli un'occhiata ma non parlò. Per un poco ancora la sentì muoversi in sala, ma infine si addormentò.
Sognò le rovine radioattive della Londra del ventiquattresimo secolo. Ma la donna che divideva con lui il rifugio costruito con la lamiera ondulata era Sheila, non Kay.
V
Il mattino seguente si svegliò tardi. Il sole filtrava dalle pesanti tende della camera. In un primo momento non capì bene dove si trovasse, ma poi ricordò gli avvenimenti del giorno prima e riconobbe gli oggetti che lo circondavano. Un orologio sul tavolino da notte segnava le undici. Si rivestì rapidamente cavandosela abbastanza bene con gli abiti ancora poco familiari di Nicholas Brent, poi si accinse a lavarsi con del normale sapone e acqua anziché con l'ottimo detergente al quale era abituato, e si fece la barba con un barbaro aggeggio d'acciaio. Quando ebbe finito, aveva il mento costellato di tagli. Lasciò seccare il sangue e si lavò di nuovo.
La donna bionda gli aveva lasciato un'annotazione sulla scrivania. Con grafia, chiara, ma evidentemente frettolosa, gli aveva scritto: Nick, c'è un po' di stufato in cucina. È solo da scaldare. Ho telefonato al tuo ufficio avvertendo che resterai assente per qualche giorno. Non uscire. Cercherò di tornare a casa presto. Eve.
Eve doveva essere il nome della signora Brent. Calland se lo annotò mentalmente. Le undici e trenta, non c'era tempo per lo stufato. La cosa più urgente era l'appuntamento in Piccadilly Circus, e Calland non riusciva a evitare un certo nervosismo a questo riguardo, per quanto cercasse deliberatamente di rivolgere altrove i suoi pensieri. A Sheila, per esempio.
Prima di uscire, si esaminò attentamente, per essere sicuro di non aver commesso qualche errore nell'infilarsi gli abiti antiquati di Brent. Aveva trovato difficile annodare la cravatta, e il collo della camicia ne aveva risentito un po' ma nel complesso il suo aspetto era soddisfacente. Si recò alla stazione sotterranea e acquistò un biglietto per Piccadilly.
La giornata serena e calda sembrava aver fatto raddoppiare il traffico. Quel giorno c'era un maggior numero di persone sullo spiazzo al centro del rondò, e molti stavano seduti sui gradini della statua di Eros. Calland non raggiunse subito la rotonda. Preferì camminare lentamente sull'esterno della strada sbirciando attraverso il traffico e osservando la gente attorno alla statua.
La vecchia signora era là, come lui aveva immaginato. Come il giorno precedente stava seduta sui gradini, ma questa volta non aveva spiegato il giornale sulla pietra. Indossava lo stesso cappello nero e il medesimo soprabito grigio, con le due macchie di colore sul lato destro.
Calland si sentì piombare addosso un peso insostenibile. Aveva bisogno di sedersi un po' e di pensare. Camminò finché vide un bar. Entrò, si sedette a un tavolino d'angolo, e ordinò un caffè, cercando di dominare il senso d'amarezza che sentiva crescere in sé. Ormai non dubitava più che la vecchia signora fosse Kay. L'ora e il luogo dell'appuntamento, e il segno stabilito per potersi riconoscere... Non poteva trattarsi ancora di una coincidenza. Il fatto era assodato, ora bisognava agire. Ma per il momento lui provava soltanto un immenso orrore, e una grande pietà per Kay. Doveva muoversi, fare qualcosa, ma gli pareva di essere paralizzato, nei gesti e nei pensieri. Non posso lasciarla in quello stato,pensava. Non posso abbandonarla a quel terribile destino. Devo assumermi la responsabilità di ciò che le ho fatto... Lei è Kay, Per quanto vecchio e grottesco sia il suo aspetto fisico, non ci sono alternative.
Bevve lentamente il caffè. Alla fine si costrinse ad alzarsi e a uscire. Tornato in Piccadilly Circus attraversò la strada e avanzò riluttante verso la vecchia signora. Lei alzò la testa mentre lui si avvicinava e lo scrutò. Calland sentì più che vedere il lampo di comprensione nei vecchi occhi. Doveva ricordare di averlo visto anche il giorno prima. Una mano scheletrica salì tremante alla faccia rinsecchita, esitando nel gesto, sperando...
— Kay — disse lui, semplicemente.
Lei si lasciò sfuggire un piccolo grido inarticolato, e si alzò a fatica, barcollò un poco, poi gli afferrò un braccio. — Phil, Phil! Ho aspettato tanto!
Lui le circondò le spalle con un braccio per sostenerla. Le lacrime le riempivano gli occhi.
— Sono venuto anche ieri, e ti ho vista — disse Calland. — Ma non potevo credere...
— Lo so, Phil. Ho sentito che eri tu. Sono ormai tre mesi che vengo qui ad aspettarti tutti i giorni!
La strinse a sé affettuosamente. — Dio mio, com'è andato tutto male! Non avrei mai immaginato una cosa simile. Io sono arrivato solo ieri e... Saprai anche tu come appare confuso sulle prime. Bisogna ambientarsi.
— Non ti devi scusare con me, Phil. Io capisco. Credo che avrei reagito anch'io nella stessa maniera. Deve essere stato un grave colpo per te. — Fece un passo indietro per poterlo guardare meglio. — A te è andata bene, Phil. Non potevi scegliere meglio.
— Sì — disse lui. — Ho avuto fortuna.
— Io vivo in una camera, con mia sorella, su a Bethnal Green — spiegò Kay. — Ha otto anni meno di me e lavora tutto il giorno, così non è mai a casa. Possiamo andare da me, se vuoi. Parleremo un po'.
— Andiamo — disse lui.
Usarono la sotterranea, cambiando convoglio a Holborn. Sul treno poterono dire poco a causa del frastuono della ferrovia, e lui occupò il tempo del tragitto a leggere i vari cartelli dello scompartimento e a osservare i compagni di viaggio, che in cambio osservavano lui e la sua compagna con velato interesse. La presenza accanto a lui della vecchia, sciatta donna era piuttosto imbarazzante, e Calland se ne rendeva conto, così come notava, pur senza guardare, il suo frequente volgere la testa per esaminarlo. Alla fermata di Bethnal Green smontarono, e raggiunsero la strada superando la scalinata. La vecchia infilò il braccio sotto il suo e insieme, vicini, percorsero il grande quartiere commerciale e poi tutta una serie di piccole strade del sobborgo. Finalmente si fermarono davanti a una casa col tetto a terrazzo. Kay aprì la porta verniciata, gli fece attraversare un atrio e salire una rampa di scale fino a una stanza che si affacciava su un piccolo vicolo.
L'imbiancatura della stanza, di color verde, era stata applicata sopra la precedente tappezzeria, e nei punti in cui si era rovinata col tempo si intravvedeva la vecchia decorazione della carta da parati. Il soffitto, che originariamente doveva essere stato bianco, adesso era scuro per la quasi totale scomparsa del colore. Una lampadina elettrica pendeva nuda dal soffitto, e accanto al nero filo elettrico oscillava una lunga striscia di carta moschicida imbrattata di insetti morti. Sempre più a disagio, Calland colse la presenza di un grande letto di ferro, messo in un angolo. Il pavimento era coperto da linoleum verde scuro, qua e là consumato dalle sedie e dai passi. In un altro angolo spiccava una cucina a gas, e un tavolo malridotto, dipinto in marrone scuro.
— Non è certo elegante, purtroppo, ma è sempre un passo avanti rispetto alla baracca dove vivevamo in... fra quattrocento anni — disse la vecchia.
Calland approvò con un cenno della testa, ma mentalmente stava paragonando quella misera stanza con il piacevole appartamento di Beynon Garden. E, strano, pensò anche a Sheila. Sheila che si allontanava con la sua macchina verde. Guardò la vecchia donna rinsecchita, e si costrinse a pensare che quella era Kay. La sua Kay.
— Posso farti una tazza di tè, Phil, se vuoi — disse lei.
— No, grazie — rispose in tono formale. — Non credo di potermi abituare al tè. Caffè, forse.
— Non ne abbiamo. Alice, mia sorella, adora il tè, e d'altra parte non possiamo permetterci di comprare cose non indispensabili. Dopo due settimane mi sono abituata a bere anch'io tè. Non è cattivo.
Lui non rispose. Piccola, avvizzita e triste, lei stava in piedi nel mezzo della stanza a guardarlo.
— Phil, almeno siamo qui. È stato molto lungo per me. Qualche volta ho pensato seriamente al suicidio.
— Non essere sciocca, Kay — disse Calland, senza convinzione.
— Cosa faremo? Voglio dire che così com'è la situazione è insostenibile. Phil, non puoi fare niente?
Lui sospirò passandosi una mano sul mento in gesto nervoso. — Non lo so, Kay. Non ne ho la più pallida idea. Siamo tornati indietro di quattrocento anni. La trasformazione di Loetze è una fantasia non ancora nata. Cosa posso fare?
— Io so soltanto di essere una orribile vecchia. Non posso rassegnarmi, Phil. Questo non è leale. Preferirei essere ancora nella nostra baracca, a vivere nella zona radioattiva di Londra, con le pattuglie che sparano e tutto il resto...
— E Meillor?
Lei esitò un attimo. — Sì. Anche Meillor — disse poi. — Meillor è stato l'inferno per pochi minuti. Questo sarà l'inferno per tutto il resto della mia vita.
— Dovrò pensarci, Kay — disse Calland. — Può darsi che ci sia una soluzione. Ma ci vorrà tempo. Sono arrivato soltanto ieri e sto ancora cercando di capire chi sono esattamente, e di scoprire tutto quello che mi riguarda.
— Parlami di te, Phil. Come si chiama il tuo corpo?
— Nicholas Brent.
Kay ripeté il nome diverse volte come per stamparselo bene in mente.
— Pare che io lavori in una rivista, occupandomi di qualcosa che ha a che fare con la pubblicità. Vivo in un appartamento nel quartiere di Kensington, con una signora bionda che si chiama Eve e che è mia zia. Lei ha divorziato da suo marito qualche anno fa. I miei genitori sono morti.
— Mi sembra una buona sistemazione — disse Kay con un sorriso stentato.
— Abbastanza, ma c'è qualche complicazione. Quando è stato evidente che... avevo perso la memoria, la signora Brent ha chiamato un medico. Apparentemente sono affetto da amnesia e schizofrenia, e teoricamente sono un malato.
— Sono passata anch'io attraverso la stessa esperienza — disse Kay. — Ma ho fatto le cose più in grande. Ho passato tre settimane in un ospedale, sotto osservazione. Alla fine, non essendo riusciti a capire niente, mi hanno dimessa, e io sono tornata a vivere con Alice. In un certo senso quelle tre settimane mi sono servite. Ne avevo bisogno per rimettermi dallo shock di aver scoperto che ero una vecchia e per imparare abbastanza sul mondo nel quale ero capitata. Ma mentre stavo all'ospedale ero preoccupata per te. Immaginavo che per tutto quel tempo tu fossi andato ad aspettarmi ogni giorno secondo i nostri accordi...
— Qual è il tuo nome? — domandò Calland.
— Mary, Mary Marney.
Lui non fece commenti, ma si accostò alla finestra a guardare giù nella piccola strada delineata dalle brutte case. Dopo un po' lei lo seguì e gli appoggiò delicatamente una mano sulla spalla.
— Ho un lungo vantaggio su di te, Phil — disse tranquillamente. — Ho avuto interi mesi in cui pensare. Ho preso in considerazione tutte le possibilità di cambiamenti e non ci ho messo molto per rendermi conto che se io ero vecchia tu però potevi essere giovane. C'è una certa dose di crudeltà nel destino, vero?
Calland mormorò qualcosa di intelligibile.
— Poi ho passato in rivista tutto quello che si sarebbe potuto fare se si fosse verificata appunto una situazione del genere. E ho finito per concludere che si tornava all'unica soluzione possibile. La trasformazione di Loetze.
— Cioè?
— Phil, l'hai fatto una volta, puoi farlo ancora. Ne hai le cognizioni tecniche.
— Ma non l'equipaggiamento necessario — disse Calland.
— Costruirai l'equipaggiamento — disse Kay con fermezza. — Io devo avere un altro corpo. Non posso continuare così. Tu sei uno scienziato, e inoltre possiedi quattrocento anni di vantaggio su ogni altro scienziato vivente oggi. Ci sarà ben qualcuno che può metterti in grado di realizzare il tuo miracolo scientifico.
— Non credo che gli scienziati di oggi siano tanto ansiosi di organizzare esperimenti costosissimi per fornire a te e a me dei nuovi corpi.
— Ma essi non devono sapere il vero motivo dell'esperimento, Phil. Tu potresti seguire semplicemente la tua idea originale. Dopo tutto, cosa ne sa questa gente di elettronica psiconeurologica?
— Praticamente nulla.
— E poi — disse lei, — soltanto io ho bisogno di un nuovo corpo. Tu hai tutti i motivi per essere soddisfatto del tuo. Quindi ti serve l'equipaggiamento per una singola trasformazione.
Calland si mosse per la povera stanza rimuginando le parole di Kay. Gli occhi annosi seguivano ogni suo movimento con espressione d'attesa, quasi affamati.
— Mi pare che si potrebbe fare — disse lui alla fine, senza molto entusiasmo. — La macchina ne sarebbe molto semplificata. Non ci sarebbe bisogno della quadratura per i circuiti temporali. La trasformazione di Loetze potrebbe avvenire immediatamente senza intervallo di tempo. Però...
Kay lo guardò con aria interrogativa.
— Però ci sarebbe il medesimo pericolo — continuò lui. — Potresti reincarnarti di nuovo in una donna vecchia. Oppure potresti ritrovarti bambina. L'età è un fattore imprevedibile.
— Correrò il rischio, Phil, per quanto grande sia. Ma se la trasformazione avviene nel presente non si può scegliere... la vittima?
Calland la fissò ironicamente. — Vuoi dire che dovremmo scegliere una bella ragazza giovane e trasferirti nel suo corpo?
Kay approvò con un cenno, tormentandosi le mani avvizzite. — Sarebbe possibile?
— Non ne sono certo, Kay. Credo che questo richiederebbe molte ricerche e parecchi esperimenti. Immagino che se si potessero collegare le persone destinate alla trasformazione direttamente alla macchina, forse riuscirebbe. Però dubito molto che l'eventuale vittima, per usare una tua parola, sarebbe disposta a collaborare. Nessuna donna si sentirebbe disposta a rinunciare in tal modo alla sua personalità. È come morire.
— Non pretendo di trovare collaborazione, Phil. La cosa dovrebbe essere fatta di nascosto, o ricorrendo alla forza.
— Per fare come dici tu bisognerebbe ricorrere a un rapimento o un inganno anche peggiore — disse Calland, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
— Sì, come minimo.
— In altre parole, riassumendo, tu mi chiedi di assicurarmi un posto chiave in un laboratorio di ricerche, dove possa avere l'autorità di stabilire il programma dei lavori, poi di costruire la macchina per la trasformazione di Loetze, quindi di trovare una bella ragazza, una ragazza del tipo che mi piacerebbe avere come compagna per la vita, farla venire in laboratorio con una scusa o un tranello o con la forza, far venire là anche te, e poi operare la trasformazione.
— Esattamente, Phil. È possibile?
Calland ebbe l'impressione di vedere delle lacrime nei suoi occhi. Lentamente, con gesto forzatamente affettuoso le accarezzò una spalla scarna. — Posso solo dirti che non è impossibile — le rispose. — È un progetto che vale la pena di studiare. Ma ci vorrà tempo, Kay. Mesi, forse, anni.
— Posso aspettare — disse Kay, tranquillamente.
Calland rimase con lei per due ore, e Kay preparò il tè e offrì alcuni biscotti incredibilmente insipidi. Parlarono della loro esperienza e delle impressioni riportate dalla reincarnazione nella vecchia Londra, ma soprattutto discussero del nuovo progetto Loetze. Per quanto assillato da scrupoli e dubbi, Calland vide quasi con piacere la vecchia donna bruciare d'entusiasmo. Di conseguenza si costrinse a pensieri ottimistici, e parlò dell'aspetto tecnico del tentativo, come se fossero già pronti a tentare l'esperimento. Ne fu ricompensato dalla vista di una grande speranza nell'espressione di Kay.
— Alla base di tutto — disse, — sta il problema di trovare qualche organizzazione interessata nel campo della biofisica. Un organismo del genere può offrire molte facilitazioni e un adeguato fondo monetario per finanziare gli esperimenti. Trovato il posto adatto, io dovrò parlare con i dirigenti, e convincerli che possiedo un prezioso bagaglio di conoscenze scientifiche. Dovrebbe essere abbastanza facile. Potrei usare alcune scoperte psiconeurologiche effettuate nel ventunesimo e nel ventiduesimo secolo, presentandole come mie. Rivelerò loro quel tanto necessario per risvegliare il loro interesse e indurii a offrirmi tutte le facilitazioni di laboratorio. Poi comincerò a rivelare i primi risultati regalando loro alcune importanti scoperte. Questo li impressionerà molto favorevolmente. Quindi inizierò a lavorare al nuovo trasformatore Loetze. Loro non capiranno niente della sua utilità, ma non faranno certo domande. E da quel momento sarà solo questione di tempo.
— Ci riuscirai, Phil! So che ci riuscirai.
— Questo che ho esposto è soltanto un lato del problema ma fortunatamente è la parte più grande. Però implica maggiori rischi che non il resto del programma.
— Le nostre vite sono tutte un rischio — disse Kay. — È solo questione di percentuale, e non del rischio in sé.
— Ho pensato alla ragazza — disse lui. — La cosa più importante è trovarla. Poi viene il compito di ottenere la sua fiducia. Penso che bisognerebbe stringere con lei rapporti di amicizia in modo da cercar di ottenere la sua collaborazione. Può essere molto importante evitare di commettere qualcosa contro la legge come sarebbe l'uso della forza o di qualsiasi altra violenza.
La faccia rinsecchita di Kay accennò un sorriso. — Naturalmente, Phil. E non mi importa fino a che punto si spingerà l'amicizia, e se i tuoi pensieri saranno per lei solo perché rivolti a me. Dopo tutto noi ci amiamo, vero?
Lui la guardò lungamente prima di rispondere un po' troppo volutamente: — Sì, Kay. Noi ci amiamo.
— Allora, per favore, baciami, caro. Ne ho bisogno per poter sperare nella vita.
Calland la baciò macchinalmente, lottando per vincere il disgusto.
Kay lo guardò con disperazione. — Phil, per favore, dimmi che mi ami ancora!
— Ti amo ancora Kay — disse lui, senza entusiasmo. E chissà perché, pensò a Sheila.
Poco dopo Calland se ne andò, promettendo di tornare il giorno dopo.
VI
Qualche ora più tardi Eve rientrò dal lavoro. Era impiegata come commessa in un negozio di biancheria del West End. Appena in casa gli chiese della sua salute e della sua memoria. Calland decise di fare il primo passo per preparare il terreno all'idea della sua nuova carriera.
— Eve — disse alla donna bionda seduta sul divano a bere gin, in attesa di uscire per la serata, — ho deciso di cambiare lavoro.
— E cioè? — chiese lei.
— Non mi va di continuare con la pubblicità — riprese lui dopo una breve esitazione. — Quello che mi attrae veramente, ciò per cui sento di possedere le qualità necessarie è... be', qualche lavoro di ricerca scientifica. Nel campo della psiconeurologia, magari.
La signora Brent riprese a stento una risata divertita. — Ma caro Nick, cosa ne sai tu di psiconeurologia?
— Ho letto molto sull'argomento — disse lui.
— Ah, sì? Non me ne sono mai accorta. E dove li tieni questi libri di... di psiconeurologia? Sai una cosa? Sei rimasto impressionato dal medico che è venuto ieri sera. Devi averlo sentito parlare di schizofrenia e psichiatria, e tutto quel genere di paroloni, e poiché la tua mente era in quello stato particolare, la cosa ti ha colpito.
— Può darsi — disse lui. — Oppure può darsi che qualcosa detta dal dottore abbia stimolato un'idea che già era nel mio cervello. Comunque sia, resta il fatto che non tornerò a fare pubblicità.
— No certo, se non vuoi — disse lei, scrutandolo.
— Mi stavo chiedendo — continuò Calland, — se puoi aiutarmi a scoprire come e dove potrei fare il lavoro che mi interessa. Magari dandomi i nomi di ditte nel campo della biofisica con laboratori di ricerca.
— Nick, c'è qualcosa di stonato in te — disse la donna, in tono ansioso. — Non ti ho mai sentito parlare in questo modo...
Lui sorrise portandosi una mano alla ferita. — Forse l'incidente mi ha dato una scossa al cervello, e forse ha portato alla luce un mio talento nascosto... Parlando sul serio, Eve, vorrei sapere se mi puoi aiutare.
— Naturalmente, se si tratta di cosa seria. Nei quotidiani ci sono sempre inserzioni per cercare scienziati e personale di laboratorio... Ma ancora non capisco...
— Credimi, Eve, so benissimo quello che faccio — disse lui, tranquillamente.
— Bene, Nick. Sei abbastanza grande per poter decidere di te. Ma per lo meno aspetta che il dottore ti dica che sei guarito. Nel frattempo potresti cambiare di nuovo idea. C'è tempo, Nick.
— Non cambierò idea, e non c'è tempo — disse secco Calland. — Voglio entrare nel campo delle ricerche scientifiche il più presto possibile. Puoi procurarmi quei giornali per questa sera?
— Calma, caro. Dovrai aspettare domani. C'è il COURIER in casa, ma non è il più qualificato per annunci del genere.
Calland andò a prendere il giornale. Lo scorse rapidamente finché trovò la pagina dedicata agli annunci. In testa a una colonna spiccava in neretto la parola INGEGNERIA. Sotto lesse: CERCASI INGEGNERI SPECIALIZZATI ELETTRONICA PER SERVOMECCANISMI... Calland passò alla colonna seguente. Trovò annunci per scienziati nucleari, specialisti in missilistica, progettisti per televisori, e personale tecnico in generale. Calland avrebbe facilmente potuto ottenere uno qualunque di quei posti, con le sue capacità, ma non era ciò che lui voleva. In quel particolare numero del COURIER non c'era nessuna richiesta di scienziati sperimentatori nel campo biofisico o psiconeurologico. Ripiegò il giornale e tornò a deporlo sul tavolo.
— Domani, allora — disse a Eve. — Vedi di procurarmi tutti i giornali che puoi.
— Va bene, Nick. Ma non trascurare i particolari. Non sei tenuto a dare un mese di preavviso al tuo ufficio?
— Un mese di preavviso? — disse lui sorpreso.
— Be, non puoi certo andartene così, da un giorno all'altro!
— Vuoi dire che devo lavorare ancora per un mese là dentro prima di poter cambiare posto?
— È la regola, caro!
— Io non voglio tornarci — disse Calland, seccato. — Non intendo perdere altro tempo.
— Ma non puoi, Nick! Possono farti avere grosse noie se li pianti in asso così.
— Il medico può sistemare la faccenda — disse lui. — Può dichiarare che devo cambiare genere di lavoro. Non potranno certo mettere in dubbio la sua autorità.
— Questo non lo so — rispose Eve, incerta.
— Dobbiamo informarci. È molto importante per me.
— Nick, se il medico pensa veramente che per te si impone un cambiamento di lavoro, ti farà un certificato in questo senso, ma...
— Parlerò con lui — disse Calland. — Sono sicuro di riuscire a convincerlo.
— Come vuoi, visto che sei così deciso — disse la signora Brent, rassegnata. — Se vuoi parlare col medico puoi andare in ambulatorio domani mattina verso le dieci. Magari gli telefono prima per fissargli un appuntamento.
— Benissimo — disse Calland.
Durante la mezz'ora seguente, Eve si cambiò d'abito, si pettinò e ritoccò il trucco. Poi, rinfilato il soprabito rosso scuro, con la borsetta sotto il braccio si accostò a Nick e lo baciò sulla fronte.
— Cercherò di non fare molto tardi, Nick — gli disse. — Sono fuori a cena con Clive, ma non gli permetterò di trascinarmi in giro per Londra.
— Clive? — disse Calland.
— Non te lo ricordi? L'hai visto diverse volte. Lui scosse la testa.
— Non ha importanza. Avrai occasione di vederlo ancora un sacco di volte. Quando tu sarai sposato potrà venire ad abitare qui.
— Naturalmente — disse lui, senza aver capito troppo bene. — Buona serata, Eve.
Lei gli accarezzò affettuosamente una guancia e se ne andò. La porta si richiuse e il silenzio avvolse l'appartamento come una solida cortina a tre dimensioni. Per un poco Calland fu solo con i suoi pensieri. Quando sarai sposato,si ripeté diverse volte, e ogni volta l'embrionale progetto sortogli nella mente qualche ora prima cresceva e si perfezionava. Perché no?,si chiese, sviluppando una nuova idea. Bisognerebbe cercare parecchio per trovare un'altra ragazza come Sheila, e anche trovandola potrei non riuscire a stabilire con lei il genere di legame sufficientemente intimo per assicurarmi la sua fiduciosa collaborazione.
Guardava distrattamente dalla finestra, senza vedere, tutto preso dai pensieri che stavano confusamente prendendo forma. Kay avrebbe approvato la scelta, non c'erano dubbi in proposito. E poi il matrimonio avrebbe assicurato il legame più solido, offrendo la massima sicurezza per lui e Kay quando fosse avvenuta la trasformazione di Loetze. Si sarebbero ritrovati marito e moglie, e per un po' avrebbero potuto isolarsi da tutti gli altri, parenti, amici, conoscenti, finché Kay non si fosse adattata completamente al suo nuovo corpo.
C'era soltanto una difficoltà. La sera precedente lui aveva volutamente compiuto il primo passo per rompere la relazione con Sheila. E con un certo successo. Le aveva detto che non l'ama e che per loro non ci sarebbe stato un futuro come marito e moglie. Era stato un errore, a ripensarci. Però Sheila non aveva accettato le sue dichiarazioni. Domani non penserai più così,gli aveva risposto.
— Aveva ragione — disse Calland a voce alta, torcendo le labbra in un sorriso cinico.
In quel momento lo squillo petulante del telefono lo fece sussultare. Sollevò lentamente il ricevitore.
— Pronto...
— Nick, sei tu? — Era la voce di Sheila.
— Sì, cara — rispose.
— Come ti senti?
— Molto meglio.
— Voglio vederti, Nick. Si può adesso?
— Certo. Puoi venire qui?
— Sì. Arriverò tra cinque minuti.
— Ti aspetto — e riappese.
Andò a guardarsi allo specchio appeso sopra il camino e sorrise alla sua immagine. Stai manovrando le cose abilmente, signor Calland, alias Nicholas Brent,si disse. Ti ci vorrà un po' di tempo per adattarti a questo nuovo vecchio mondo, ma hai già compiuto passi notevoli. Da questo momento, tutto andrà secondo i piani.
Sicuro di sé, andò a versarsi un'abbondante dose di whisky. Alla salute,brindò, osservando controluce il liquido ambrato. A una bella donna giovane, e a una brutta donna vecchia. E al giovane uomo che sa come prendere il meglio da entrambi i mondi.
Sheila era ancora più deliziosa. Lo baciò con ardore, poi indietreggiò per esaminarlo soddisfatta.
— Nick, stai davvero meglio — esclamò. — È evidentissimo.
— Ho ancora qualche guaio con la memoria, — disse lui.
— Questo non ha molta importanza. Ieri sera sembravi un orribile barboso omaccione che diceva un sacco di orribili cose.
— Scusami.
— Così va meglio. Io lo sapevo che non pensavi veramente quello che dicevi. Era solo un brutto effetto dell'incidente.
— In parte era dovuto alla caduta e in parte a ciò che il dottore aveva detto a Eve — disse lui, soppesando attentamente le parole. — Avevo sopravvalutato certe osservazioni sulla schizofrenia, eccetera. Per un po' ho pensato di essere incurabile, quindi non potevo permettere che tu sposassi un uomo in quelle condizioni.
— Ma caro, io ti amo!
Calland la strinse fra le braccia provando un autentico piacere nella vicinanza del suo morbido corpo. — Lo so, Sheila. Ma sai, la pazzia è una cosa molto grave...
— Tu non sei pazzo e non lo sarai mai. Perciò non dire più quella parola. Promesso?
— Promesso.
Sheila lo allontanò da sé tenendo le braccia tese e lo guardò con occhi scintillanti. — È magnifico sapere che sei tornato normale. Mi avevi preoccupata sul serio. Ho passato la notte a inzuppare di lacrime il guanciale!
— Mi dispiace tanto, cara.
— Andiamo a sederci — disse lei, spingendolo verso il divano. Sedettero vicini, abbracciati, baciandosi di tanto in tanto.
— Dimmi, Nick — mormorò Sheila, — cos'hai fatto tutto il giorno?
— Niente di importante — rispose rabbrividendo. Per un attimo aveva rivisto la vecchia faccia avvizzita di Kay. — Sono stato un po' in giro a cercar di far riaffiorare i ricordi e a fare progetti per il futuro.
— Vuoi dire per dopo il nostro matrimonio.
— Sì, cara. Per prima cosa ho deciso di lasciare il lavoro di pubblicità. Non è il genere di occupazione al quale intendo dedicare la mia vita, e adesso che l'incidente mi ha forzato a star lontano dall'ufficio, mi pare che potrei approfittare dell'occasione per chiudere la parentesi.
Sheila lo guardò perplessa. — Ma, perché, Nick? Pensavo che fosse un buon lavoro e che ti offrisse ottime prospettive.
Lui scrollò le spalle regalandosi un'espressione pensierosa. — Prospettive che non vanno bene per me — disse. — Preferisco un lavoro nel campo delle ricerche scientifiche. In psiconeurologia.
Lo sguardo di Sheila espresse il più grande sbalordimento. — Ma caro, tu non sai assolutamente nulla di psico... eccetera. Non avevo mai immaginato che ti interessassi a quel genere di cose!
— So parecchio, invece, sull'argomento — rispose Calland, cercando di assumere un tono puramente discorsivo. — Abbastanza per cominciare, comunque. Eve mi ha promesso di portarmi a casa tutti i giornali in modo che possa scorrere le pagine degli annunci. Intendo cercare un lavoro in qualche laboratorio che si interessi di biofisica.
Lei si alzò di scatto rimanendo a fissarlo dall'alto. — Nick, pensavo che ti fossi rimesso, ma da come parli non si direbbe. Da che parte salta fuori questa faccenda della biofisica?
— È già da tempo che l'avevo in mente — rispose lui, in tono assolutamente sincero.
— Se parli sul serio, mio padre potrebbe aiutarti. Conosce molto bene Sir Andrew Crossley.
— E chi è?
— E il direttore della Biochemix. Devi averne sentito parlare.
Calland scosse la testa.
— La Biochemix è la più grande industria farmaceutica del paese e forse del mondo. Hanno una fabbrica enorme vicino a Redhill, con un laboratorio di ricerche grande come un ospedale. Se papà accetta di parlarne con Sir Andrew, sono certa che lui riuscirebbe a sistemarti.
— Sarebbe una bella cosa — disse Calland, non molto convinto. — Però molto dipende dal tipo di ricerche che li interessa.
— Stai diventando difficile, Nick — disse la ragazza.
— So esattamente quello che voglio — disse lui, soffocando un sorriso ironico. — Forse mi sarebbe utile parlare con questo Sir Andrew.
— Non credo che sia impossibile.
Lui si alzò e la strinse fra le braccia. — Non so cosa farei senza di te, Sheila — esclamò con calore.
— Non dovrai mai fare niente senza di me, Nick. Io ti sarò sempre attorno!
Il tempo era maturato per un nuovo bacio, e lui non si sottrasse; in parte perché voleva sostenere bene il suo ruolo, e in parte perché baciare Sheila gli piaceva. Il corpo nel quale lui si trovava aveva una perfetta rispondenza alle emozioni della ragazza, e Calland aveva qualche difficoltà a distinguere fra gli stimoli voluti e quelli effettivamente sentiti. Comunque il particolare non aveva nessuna importanza. Col tempo Sheila sarebbe diventata Kay. Il corpo sarebbe stato il medesimo, così il desiderio, così l'amore affrancato però da una più armonica omogeneità culturale. La sua cultura del suo tempo. Suo e di Kay. Il che voleva dire poter pensare, sentire e amare in perfetta risonanza.
— Sheila — disse — vorrei che tu mi aiutassi a ritrovare la mia memoria.
— In che modo, caro? — domandò lei sciogliendosi dall'abbraccio.
— Dicendomi ciò che voglio sapere, su di te, su me, sui tuoi. Sento che se potrò raccogliere sufficienti pezzi del mosaico, tutto mi tornerà alla mente.
— Oh, bene. Ma non è facile sapere da dove è meglio cominciare — commentò lei, seria.
— Incomincia da un momento qualunque — disse lui — e continua seguendo le varie associazioni di idee che ogni fatto ti suggerisce, così come capita.
— Proverò — disse Sheila.
E cominciò a parlare tranquillamente, ricordando il passato. Pareva che Nicholas Brent e lei si fossero incontrati a Oxford, quando frequentavano entrambi l'università, e la relazione era continuata per due anni e mezzo. In quell'epoca, prima di divorziare da Eve, Peter Brent era un pittore commerciale molto rinomato e che aveva raggiunto i più grandi successi. Per quanto se ne sapeva, lo era ancora, anche se le chiacchiere affermavano che era andato a vivere in America con una modella non così famosa come lui, ma sempre pregevole. Il padre di Sheila era direttore di una Compagnia che fabbricava strumenti clinici e vetrerie per uso scientifico, in stretta alleanza con la Biochemix di Sir Andrew Crossley. La madre scriveva poesie, e ne aveva appena pubblicato un libro, pagando di tasca sua. Vivevano in un elegante appartamento di Mayfair, e possedevano tre macchine. Una per il padre, una per la madre, e una per lei. La macchina di papà era una Bentley verde scuro, e a Calland parve di capire che avesse le dimensioni di un camion. Il cognome della famiglia era Wetherby Grant, ed erano imparentati con i Wetherby Grant di Amersham che possedevano una scuderia di cavalli e perdevano sempre un sacco di quattrini alle corse.
Prima del divorzio la famiglia di Brent era stata un po' sopra la media, abitava una casa costruita su terreno proprio vicino a Leatherhead, e aveva anche del denaro da sprecare. Pareva che Peter Brent fosse il tipo che in una settimana spendeva più denaro in alcol di quanto ne guadagni in un mese un buon industriale. Dopo il divorzio, privata dei grossi guadagni del marito, Eve si era vista costretta a cavare il più possibile dalle sue limitate possibilità per mantenere se stessa e il figlio adottivo. Ma un anno più tardi, Nicholas aveva finito gli studi all'Università, e per quanto non avesse preso la laurea, aveva ugualmente trovato un buon impiego nella pubblicità, ricompensato con un salario base e una percentuale sugli affari esclusivi. Poiché la rivista nella quale lavorava si interessava del prospero campo dell'elettronica, vendere spazio per la pubblicità si rivelò un sistema ragionevolmente facile per far soldi, e in poco tempo Nicholas era stato in grado di comprare una macchina di seconda mano.
Nonostante la differenza sociale fra le due famiglie, non era stata sollevata nessuna obiezione al romanzo sentimentale dei due giovani, né al loro fidanzamento. Questo, secondo le parole di Sheila, perché papà Wetherby Grant nutriva una gran fiducia nei giovanotti che devono lavorare per vivere, preferendoli ai giovani parassiti che prosperano alle spalle di una famiglia con grossi conti in banca. Pareva che il signor Wetherby avesse molta simpatia per Nicholas e non fosse assolutamente preoccupato per il futuro della figlia. Pareva anche che provasse più che un sentimento di rispetto per Eve Brent, ma non c'era niente di preciso che potesse sostenere questo impressione. Dopo il matrimonio, che sarebbe stato celebrato in una chiesa di Kensington, Sheila e Nicholas avrebbero preso possesso di un elegante appartamento a Knightsbridge, regalo di papà Wetherby che l'aveva acquistato e ammobiliato.
Calland non poteva proprio lamentarsi. Era coinvolto in una piacevole relazione con gente piacevole, e non aveva niente da perdere. Kay e lui avevano tutto da guadagnare continuando per quella strada sino alla logica conclusione. Inoltre, particolare piuttosto grottesco, lo stesso padre di Sheila sarebbe stato lo strumento per procurare loro la possibilità di distruggere sua figlia annullandone la personalità.
Calland si sentiva pienamente soddisfatto.
Sheila restò con lui per un paio d'ore, durante le quali gli preparò anche qualche cosa da mangiare. Poi, verso le dieci, dopo un piacevole interludio di baci e carezze, la ragazza tornò a casa, e Calland sprecò mezz'ora a immaginare il loro prossimo matrimonio.
Quella sera si addormentò prima che Eve tornasse.
Il mattino dopo andò dal medico che l'aveva già visitato. Dovette sopportare una nuova visita generale, e rispondere a una serie di stereotipate domande punteggiate da scrollatine di testa e brontolii indistinti da parte del dottore.
— Credete che sopravviverò? — chiese alla fine Calland, in tono decisamente ironico.
— Ma certamente — rispose serio il medico. — Temo che ci sia ancora un altro fattore di paramnesia, nonostante si sia verificato un certo miglioramento. Onestamente devo ammettere di poter fare poco per il vostro stato, ma sono del parere che le vostre condizioni miglioreranno spontaneamente col tempo. Se questo non dovesse verificarsi, organizzeremo un trattamento psichiatrico.
— Io sono venuto da voi per un motivo preciso — disse Calland. — Vorrei chiedervi un favore particolare — e rivelò al medico la sua intenzione di lasciare il lavoro di pubblicità per la ricerca scientifica. Il medico lo ascoltò, guardandolo in modo quasi sospettoso.
— Avete parlato di biofisica — disse secco. — Ma ditemi un po', signor Brent, cosa sapete in materia?
Calland cercò nella memoria qualche importante dato di semplice applicazione tecnica. — So come isolare una molecola di enne a — rispose.
— In questo caso siete un tipo molto in gamba — disse il medico, ma senza alcuna sfumatura di ammirazione nella voce. — La molecola di enne a è stata isolata solo recentemente dai ricercatori, e la sua natura è ancora ipotetica.
— E posso anche stabilire il ruolo di una molecola di enne a nella generazione chimica — disse Calland, — e le sue funzioni in certe particolari formazioni cancerose. Se avete a portata di mano un pezzo di carta...
Il medico spinse verso di lui un blocchetto di fogli bianchi. Calland prese una matita dalla tasca e tracciò un semplice diagramma. — Qui c'è la spirale di enne a con i relativi enzimi qui, qui e qui... Ora, come certo sapete, in presenza di certe molecole di idrocarburi — e aggiunse al diagramma il segno della nuova molecola, — la spirale di enne a potrebbe scindersi così — altro trattino di matita sul foglio, — ... e piegarsi su se stessa. L'idrocarburo si lega simmetricamente, così e si ottiene uno schema familiare. Lo riconoscete?
Il medico attirò il foglio a sé e studiò il diagramma. — Se me lo chiedete, vi posso dire che sembra la basilare divisione cromosomica, che si verifica quando una cellula si suddivide.
— Esattamente — disse Calland. — Ma in questo caso i cromosomi non c'entrano. La divisione della cellula è stata provocata dalla di enne a, e dalla sua reazione all'idrocarburo del nucleo cellulare.
— Volete dire un carcinoma? — chiese il medico studiando con maggior attenzione il diagramma. — Potrebbe essere. Non mi pare di aver mai visto qualche riferimento a una reazione del genere. Certo potrebbe giustificare delle ricerche.
— È questo che mi interessa — disse Calland. — Possiedo una grande conoscenza in questo particolare campo, sono molto bene informato sui reagenti genetici, sui quanta psiconeurologici, sulle funzioni cerebrosomatiche. Temo che impazzirò se non riesco ad applicare in qualche modo il mio sapere. Me ne deriva una specie di ossessione...
— Mmmh — fece il medico, poco convinto. — Mi piacerebbe sapere come e dove avete acquistato simili nozioni.
— Con lo studio, l'immaginazione e l'intuizione.
Il medico continuava a fissare il diagramma. — Di enne a e idrocarburi — mormorò. — Probabile. Molto probabile. Perché Bruchster non ne ha fatto cenno all'ultimo Congresso dell'Associazione? E voi siete deciso a lasciare il ramo della pubblicità in favore di questo genere di studi?
— Decisissimo.
— Potrebbe essere tutto un imbroglio, e voi potreste essere un ciarlatano. Ma io ho il modo di scoprirlo. Devo però confessare che mi pare incredibile — si appoggiò alla spalliera della sedia studiando attentamente Calland. — Tutto considerato, signor Brent — disse alla fine, — credo che siate sincero. Avrete il vostro certificato.
— Grazie, dottore — mormorò Calland.
VII
Più tardi, in mattinata, Calland tornò a casa dove scrisse una breve lettera al suo ufficio rassegnando le dimissioni con effetto immediato e allegò il certificato medico. Di colpo si sentì libero. Eve gli aveva lasciato qualcosa di pronto sul fornello, ma lui preferì andare in un ristorante. Poi, rimesso in forze dal pasto abbondante, affrontò la strada fino in Bethnal Green per riferire a Kay gli ultimi sviluppi.
La sua euforia subì un rude colpo davanti alla brutta faccia grinzosa di Kay, e allora ricorse a un gioco di fantasia per cui si convinse di non aver nessun reale punto di contatto con quella vecchia, come se lui appartenesse veramente al mondo di Sheila e di Eve. Dopo un po' quella strana sensazione scomparve, e Calland si ritrovò a parlare alla donna raggrinzita come se lei fosse la solita Kay, come se lo sgradevole aspetto non lo toccasse.
— La macchina si è messa in moto — le disse, bevendo il tè che lei aveva voluto preparare. — Ho dato le dimissioni dall'impiego, e ho organizzato le cose in modo da incontrarmi con un pezzo grosso di una importante ditta farmaceutica che fa ricerche di laboratorio. E per di più ho trovato la ragazza.
— La ragazza? — chiese Kay.
— Quella di cui prenderai il corpo.
— Chi è?
Lui rise. — Era la fidanzata di Nicholas Brent, e adesso è diventata la mia fidanzata. Si chiama Sheila Wetherby Grant, possiede una macchina e i suoi genitori sono ricchi. È bella di faccia e di corpo.
— Ma Phil, lei è me? — chiese la donna.
— Sì, Kay — rispose Calland con entusiasmo. — Lei è te. Sono sicuro che quando la vedrai sarai d'accordo.
— Hai detto fidanzata.
— Infatti. Ci sposeremo fra una settimana, e andremo ad abitare in un appartamento in Knightsbridge. Tutto andrà benissimo per te, Kay. Avvenuta la trasformazione, ti troverai già mia moglie e per di più con tutto quello che puoi desiderare.
— Sembra tutto bello, Phil — disse lei con voce triste. — Ma non credo che mi piaccia molto.
— Perché?
— Per un motivo molto semplice. Quanto tempo passerà prima che il trasformatore sia in grado di funzionare?
— Non è facile dirlo. Due mesi, tre... forse di più... Dipende...
— Proprio questo volevo dire, caro. Fra una settimana sposerai quella ragazza, come hai detto, e puoi restare sposato a lei per parecchi mesi prima che la macchina sia pronta... Prima che io cambi.
La fissò sbalordito. — Ma Kay, che differenza fa? Il corpo sarà lo stesso.
Kay sorrise, triste. — Il corpo sarà lo stesso — disse. — Phil, come immagini che mi senta, imprigionata in questo guscio rinsecchito, sapendo che tu sei sposato a una bella ragazza? Bella di faccia e di corpo, hai detto. Non posso sopportare una situazione del genere.
— Ma lei diventerà te, al momento opportuno! Non capisci? È la facile risposta a tutti i nostri problemi.
Lei scosse la testa. — Non è affatto una soluzione, Phil. È solo un altro problema, per me se non per te. Non riesci a vedere le cose dal mio punto di vista?
— Mi sembra che tu sia irrazionale — disse Calland, in tono astioso. — Cosa vuoi che faccia? Che rapisca qualche sconosciuta dalle strade di Londra e rischi di trovarmi con tutta la polizia londinese alle costole non appena i genitori ne denunciano la scomparsa? Sarebbe questo il pericolo in ogni caso, a meno che fra la ragazza e me non si stabiliscano particolari rapporti. E quale rapporto è più sicuro di un matrimonio, con a disposizione una casa dove si è del tutto liberi?
— Non essere in collera con me — disse Kay dolcemente, passandogli una mano su un braccio. — Io non metto in questione la logica del tuo ragionamento. In teoria il piano è magnifico, e non potrebbe essercene uno migliore. Ma non è possibile rimandare il matrimonio finché non sei pronto a operare la trasformazione?
Lui sospirò. — Kay, in queste faccende non bisogna lasciarci trasportare dai sentimenti e dall'emozione. Il lavoro deve essere portato a termine a sangue freddo, lavorando esclusivamente col cervello. Io non voglio perdere la ragazza e tutte le agevolazioni che ci verranno dalla sua posizione sociale.
— Ma nelle tue condizioni attuali potresti...
— Difficilmente l'amnesia può essere presa a scusa per rinunciare a un matrimonio. E se comprassi la complicità di un medico desterei sospetti. E comunque il medico che mi ha visitato pensa che io sia talmente sano da poter compiere lavori di ricerca scientifica.
La delusione le incupì gli occhi. — Va bene, Phil. Come vuoi.
— Mi pare di aver manovrato abbastanza bene fino a questo momento — fece osservare lui.
— Sì, Phil. È solo che ho paura...
— Paura di che?
Lei esitò, quasi non sapesse come esprimere in parole il suo turbamento. — Non è soltanto una questione di corpo fisico, Paul — disse infine, — C'è qualcosa di più nella gente. C'è personalità, pensieri, idee, tutte le piccole cose che fanno un individuo. Io ho paura che vivendo con quella ragazza tu possa affezionarti a lei. E se ti effezioni, dove va a finire il raziocinio, il sangue freddo di cui parli?
Calland sorrise rassicurante e le cinse le spalle con un braccio. — Prima di venire in questo secolo ti ho fatto una promessa, e intendo mantenerla. Siamo passati attraverso l'inferno insieme, Kay, tu e io, e adesso abbiamo la possibilità di sistemare bene le cose per noi. Io posso mantenere il mio sangue freddo in ogni circostanza, perché tutte queste persone che vediamo sono ombre di un passato dimenticato. Non sono reali nello stesso modo come lo siamo noi due.
— Mi fa piacere sentirtelo dire — mormorò lei. — Io dipendo unicamente da te, Phìl. Non lasciarmi.
— Non lo farò — disse Calland.
Curioso come sia facile inventare argomenti comuni per sostenere una propria tesi , pensò più tardi mentre tornava a Beynon Garden. Non che io abbia voluto deliberatamente mentire con Kay, ma le parole e le frasi sono state un po' troppo facili. Naturalmente lei aveva ragione a opporsi d'intuito a questo matrimonio. Dal suo punto di vista potrebbe essere un gioco pericoloso, e non esistono in effetti motivi validi per non rimandare il matrimonio finché non è pronto il trasformatore di Loetze. Inoltre c'era l'aspetto morale che lui aveva volutamente trascurato, ma di cui Kay con il suo intuito femminile, si era subito resa conto. Non era possibile negare che fino al momento della trasformazione Sheila sarebbe stata un'altra donna, e nessuna fantasia l'avrebbe potuta far diventare Kay, anche se il corpo era destinato a restare sempre lo stesso. E queste che ci circondano non sono affatto ombre,si disse ancora. Caso mai, le ombre siamo Kay e io, che esistiamo come parassiti nel corpo di altri. È di importanza vitale rimanere obiettivi. Il mio primo dovere è verso la donna che mi ha accompagnato in questo lungo viaggio attraverso il tempo. Sheila è semplicemente il mezzo per raggiungere il fine e, come tutti gli altri, io devo usarla come strumento di una dolorosa quanto imprescindibile operazione. Ma posso farlo perché possiedo la decisione necessaria e l'impersonale visione scientifica. Ho saputo essere forte e senza pietà nei giorni della decontaminazione radioattiva e di Meillor. Saprò esserlo ancora.
Arrivò la fine settimana, e Calland si trovò inserito in un piacevole ritmo di vita. Trattato come un paziente di riguardo e viziato tanto da Sheila quanto da Eve, trascorse il sabato e la domenica in un'atmosfera di sogno, assorbendo gradatamente brani di informazioni per costruire il bagaglio di personalità di Nicholas Brent. E mentre lui raccoglieva informazioni, cresceva la sicurezza in se stesso.
Nel tardo pomeriggio del sabato trovò un paio d'ore per andare da Kay, ma dover fare tutta quella strada lo infastidì. Si disse che mantenere i contatti con la vecchia donna andava bene, ma non bisognava poi considerarlo un dovere quotidiano. Quando tornò a casa, Eve si dimostrò curiosa di sapere dove fosse stato, ma lui se la sbrigò inventando una passeggiata in Hyde Park, e data la giornata tiepida e serena la scusa venne presa per buona e non ci furono altre domande.
Domenica, nonostante che avesse promesso a Kay di andarla a trovare, restò in casa. In fondo la cosa più importante per loro era passare all'azione, e finché non fosse venuto il momento di agire non c'era senso a sciupare il tempo in sterili incontri.
Nella mattinata andò in città con Eve. Raggiunsero un posteggio vicino a Lincoln's Inn, dove c'era la sua macchina, una Ford grigia, di linea piacevole, coperta di polvere, schizzata di fango, con alcune graffiature e ammaccature sul fianco. Eve si mise al volante, e Calland osservò da passeggero i movimenti dei piedi e delle mani che lavoravano di conserva per accelerare, frenare, e cambiare marcia. E decise che avrebbe dedicato i prossimi due o tre giorni a imparare.
In serata venne Clive: alto, magro, faccia ascetica, capelli brizzolati, vestito di scuro, elegante. Fu subito chiaro che la sua relazione con Eve era di tipo amoroso, ma Calland non fece né domande né commenti. Scoprì poi che Clive era avvocato, e che i suoi rapporti con Eve risalivano all'epoca del divorzio. Non riuscì a capire se l'uomo gli piacesse o no, ma Eve doveva esserne decisamente innamorata. Si rese poi conto che Clive possedeva quel tipo di fascino ipnotico che irrita gli uomini nella stessa misura in cui attira le donne.
Alle otto arrivò Sheila, e mezz'ora più tardi Eve e Clive uscirono. Appena rimasero soli, Sheila e Calland si abbracciarono e baciarono. Una specie di rito che a lui piaceva sempre più.
— Nick — disse la ragazza, — ho parlato con papà di quella storia psiconeurologica e lui mi ha promesso di parlare con Sir Andrew Crossley che può sicuramente sistemarti. Tu sai qualcosa di... aspetta un momento... di cibernetica?
Lui sorrise con compiacenza. — Sì, cara, so qualcosa in quel campo.
— Bene. Papà dice che la Biochemix sta facendo ricerche in grande stile, a livello cibernetico, per studiare il cervello e i nervi, eccetera, e stanno ingrandendo i laboratori.
— Magnifico — disse Calland. — Per quello che riguarda la cibernetica ho alcuni assi nella manica. Tuo padre ha detto quando avrebbe parlato con Sir Andrew?
— Questa sera. Sono andati a giocare a golf, insieme, oggi.
— Allora...
— Se Sir Andrew darà una risposta positiva, papà telefonerà subito qui.
Lui la baciò delicatamente sulla guancia. — Sheila, sei una perfetta organizzatrice. Credo che finirò proprio per sposarti.
— Lo credo anch'io, Nick, e lo farai esattamente giovedì prossimo. A proposito, ricordami di darti le prenotazioni dell'aereo. Sarà meglio che le tenga tu.
— Prenotazioni dell'aereo? — ripeté lui, sbalordito.
— Ma sì, caro, per la nostra luna di miele, non ricordi?
Scosse la testa, senza capire.
— Oh, scusami, caro. Non pensavo più alla tua amnesia. Andremo in Spagna a passare la luna di miele. Barcellona e la Costa Brava. Tre settimane di sole e di colore e di corride e di bagni di mare!
— Hai detto tre settimane? — domandò Calland, costernato.
— Sì, Nick. Tre settimane tutte intere!
— Ma Sheila, cara, non è possibile. Io non posso stare via così tanto. Ho molte cose da fare...
— Quali cose?
Calland allargò le mani in un gesto vago. — Devo cominciare quelle ricerche. Non posso perdere tre settimane.
— Siediti — disse la ragazza, in tono deciso. — Voglio farti un quadro preciso della situazione. Prima, tu e io ci sposeremo, e daremo un gran ricevimento poi, più tardi nella giornata, andremo all'aeroporto e saliremo su un aereo per Barcellona. Questo avverrà fra quattro giorni. Per incominciare quelle tue ricerche, dovrai semplicemente aspettare che si torni dalla Spagna. Non è poi così importante!
— Non capisci — disse lui. — Devo stabilire un programma di lavoro, e non posso rimandare di tre settimane!
Sheila sospirò, impaziente.
— Nick, mi riesce difficile tener sempre conto della tua amnesia, o di cos'altro il dottore ha detto che hai. Devi perdonarmi se qualche volta ti sembro nervosa. Il tuo lavoro non può essere più importante del nostro matrimonio, perché tu non hai ancora un lavoro. Per favore, caro, cerca di essere pratico. Forse nei giorni scorsi tu hai fatto piani precisi sulla tua attività, ma i piani per il nostro matrimonio sono stati fatti mesi e mesi fa. E sono veramente più importanti.
Il panico che aveva momentaneamente offuscato il cervello di Calland cominciò a dileguarsi per far posto alla rassegnazione. — Mi spiace, cara — disse, in tono contrito, — immagino di non essere ancora del tutto normale. Ogni tanto mi si scatena dentro una specie di conflitto tra il presente che conosco e il passato che non ricordo.
— Capisco, Nick — rispose Sheila sorridendo.
Ma i pensieri che turbinavano nel cervello di Calland dicevano: Cosa penserà Kay di questo nuovo sviluppo della situazione? Come reagirà? E come potrebbe tollerare una simile situazione? Tre settimane in Spagna in luna di miele con una bella ragazza. Non posso. Non posso fare una cosa simile. Anche se dovessi rinunciare a tutto il progetto Loetze, non potrei abbandonarla in questo modo.
Ciononostante, nel più profondo dell'inconscio Calland sapeva che alla fine l'avrebbe fatto.
Più tardi suonò il telefono. Fu Sheila a rispondere, e subito lo chiamò per passargli il ricevitore.
È papà — gli sussurrò.
— Pronto — disse Calland, cauto.
— Pronto, Nick — rispose una voce risonante. — Ho parlato con Sir Andrew Crossley del tuo desiderio di entrare nel campo delle ricerche in biofisica. Sir Andrew avrebbe piacere di parlarne con te.
— Benissimo — disse Calland. — Quando?
— Questo dipende da te, ragazzo mio. Il giorno del matrimonio è ormai prossimo, perciò credo che preferirai rimandare tutto a quando tu e Sheila tornerete dalla Spagna.
— No, no — si affrettò a protestare lui. — Preferisco invece vederlo al più presto. Magari domani, se è possibile.
Il signor Wetherby Grant si lasciò sfuggire un'esclamazione. — Be', se sei così impaziente! — disse poi.
— Lo sono davvero, credetemi — disse Calland.
— In questo caso farai meglio a telefonargli domani mattina in ufficio, alla Biochemix. È probabile che accetti di vederti domani stesso, o a Londra o alla fabbrica di Redhill. Ritieni di poterci andare?
— Ne sono sicuro.
— Bene allora. Però non capisco perché mai tu debba avere tanta fretta. Si tratta forse di entusiasmo giovanile? — La voce nel ricevitore fece una risata.
Rise anche Calland.
— Credo che si tratti proprio di questo, signore — disse.
— Ti auguro la miglior fortuna. Sono certo che farai buona impressione a Sir Andrew.
— Ci conto anch'io — rispose Calland. Riappese e si rivolse a Sheila.
— Cara — esclamò allegramente prendendola fra le braccia, — pare proprio che riuscirò a salvare capra e cavoli!
— Nick — fece lei, — non fare l'antipatico! Cosa diamine intendi dire?
Già , si chiese lui. Che cosa intendo, veramente?
VIII
Il mattino dopo, Calland guidò per due ore nelle strade tranquille di Kensington. Doveva imparare a guidare, ma si rese conto che gli sarebbe servita una maggior pratica prima di potersi avventurare nel traffico cittadino. Alle dieci e mezzo tornò a casa e telefonò a Sir Andrew Crossley, nell'ufficio londinese della Biochemix. Una segretaria gli rispose che Sir Andrew era andato a Redhill, ma aveva lasciato istruzioni nel caso che il signor Brent avesse telefonato. Se il signor Brent poteva andare alla fabbrica di Redhill nel pomeriggio, verso le tre, Sir Andrew sarebbe stato felice di poter parlare con lui, e forse anche di fargli visitare i laboratori di ricerca.
Calland rispose che altrettanto felice sarebbe stato lui dell'incontro. Poi, col morale alle stelle, uscì, e guidò ancora per un'ora. In virtù dell'euforia per un attimo pensò di andare in macchina fino a Redhill. Poi la prudenza prevalse. Parcheggiò l'auto in Beynon Garden, camminò fino a Chelsea ed entrò in un modesto ristorante, dove si fece servire un pranzo semplice ma gustoso. Dopo pranzo cercò una stazione della sotterranea. Si informò alla biglietteria su come dovesse fare per raggiungere Redhill.
Erano le tredici e quindici quando rientrò in casa. Lasciò un biglietto per Eve spiegandole il motivo della sua assenza. Si cambiò, esaminò accuratamente il suo aspetto, bevve un whisky per augurarsi buona fortuna e si recò alla stazione Victoria per il primo tratto del viaggio che l'avrebbe portato verso la sua nuova carriera... verso il trasformatore di Loetze.
La fabbrica della Biochemix era situata a tre chilometri da Redhill, alla quale era allacciata da un'autostrada. Calland completò il viaggio in tassi, e arrivò a destinazione con mezz'ora di anticipo sull'appuntamento. Trascorse un quarto d'ora camminando intorno all'area sulla quale sorgeva la fabbrica cercando di identificare le varie costruzioni del grande complesso industriale.
Dall'esterno, vista oltre il basso muro che recintava i fabbricati, la Biochemix si presentava come uno strano connubio edilizio. Alcuni edifici erano lunghi e bassi, in mattoni rossi, con abbondanti finestre rettangolari, e tetti inclinati di vetro. Qua e là sorgevano grandi baracche senza finestre, che sembravano hangar. Di fianco all'ingresso principale c'era una vasta zona adibita a parcheggio, e su un lungo spiazzo asfaltato erano allineati grandi camion dipinti in giallo sui quali, entro un cerchio verde, spiccavano le lettere BX intrecciate. Mentre Calland stava curiosando uno dei camion si mosse lentamente per fermarsi di fianco alla rampa di carico, di fronte a uno degli uffici, dove alcuni operai in tuta bianca cominciarono a caricare scatole di cartone.
Calland fu soddisfatto da quel suo primo sommario sopralluogo. Lo stabilimento era spazioso e funzionale nelle sue strutture, e nell'insieme dava l'impressione di una grande efficienza industriale. Uno o anche più edifici dovevano ospitare i laboratori di ricerche e lui era curioso di conoscerne l'attrezzatura. Quando mancarono dieci minuti alle tre non riuscì a frenare la propria impazienza, e varcato il grande cancello principale diede il suo nome all'uomo in uniforme alloggiato nel piccolo ufficio di guardia. Il portiere lo indirizzò verso una palazzina a due piani. Pochi minuti dopo una segretaria bionda, di bella presenza, lo introdusse nell'ufficio di Sir Andrew Crossley.
L'ufficio era spazioso, ma basso di soffitto, e illuminato da lampade fluorescenti. La grande finestra rettangolare era dissimulata da una tenda verde pallido. I mobili erano tanto semplici da rasentare l'austerità, e la scrivania dal ripiano in vetro era poco più di un normale tavolo. Un soffice tappeto grigio in tinta unita ricopriva completamente il pavimento.
Sir Andrew si alzò, girò attorno alla scrivania per farsi incontro al visitatore, e tese la mano destra per adempire all'inevitabile stretta di saluto che, come Calland aveva scoperto, rappresentava una specie di rituale dell'epoca. Sir Andrew era alto, con quel tanto di capelli che bastavano appena a velare la forma del cranio. Aveva una faccia lunga dall'espressione malinconica, ma gli occhi azzurri erano vivi e giovanili. Poteva aver tanto quaranta quanto cinquanta o sessant'anni. Vestiva di scuro, secondo il miglior gusto riscontrabile in quel vecchio mondo.
— Felice di conoscervi — disse Sir Andrew, come se pronunciasse una formula. — Accomodatevi, prego, signor Brent.
Calland si accomodò. Sir Andrew spinse davanti a lui una scatola d'argento piena di sigarette. Calland rifiutò cortesemente per paura che il sapore aspro di quel tabacco primitivo gli procurasse un nuovo irrefrenabile attacco di tosse.
— Non occorre dire — incominciò Sir Andrew, — che voi siete qui grazie a una conversazione che ho avuto col signor Wetherby Grant. Normalmente noi reclutiamo il nostro personale tecnico selezionando le risposte ad annunci, e richiediamo specifici titoli accademici. — Sorrise con aria indulgente. — Capisco comunque che voi avete un titolo molto più importante.
Calland cercò di non sembrare troppo confuso.
— La figlia di Wetherby... Sheila — riprese Sir Andrew, cordialmente. — Dal momento che siete ormai, formalmente, un membro della famiglia, credo che si possano mettere da parte i nostri normali sistemi. A proposito, signor Brent, come ve la cavate nel golf?
— Purtroppo non gioco a golf — rispose Calland, in tono di scusa.
La faccia di Sir Andrew espresse chiaramente la sua disapprovazione. — Be', avrete tempo per imparare. Richard... Voglio dire il signor Wetherby Grant, è un giocatore formidabile. Parlo sempre del golf, naturalmente. Ma io posso ancora fargli vedere come so vincere, nonostante la mia età. — Rise brevemente, e Calland si unì alla risata.
Poi di colpo Sir Andrew batté con le dita un colpo sul ripiano di vetro. — Comunque, per tornare agli affari, ho sentito che vi interessate di ricerche nel campo della biofisica, signor Brent.
— Sì, signore.
— Veramente interessante. Questo è molto, molto importante.
— Credo di poter contribuire al programma di ricerche della Biochemix, nel mio piccolo.
Sir Andrew inarcò le sopracciglia. — Davvero? E in che modo, signor Brent?
Calland pensò qualche secondo prima di rispondere, cercando nella mente qualche possibile futuro sviluppo di teorie da lui conosciute che potessero destare l'interesse di Sir Andrew senza provocare scetticismo.
— Ecco, sinapsi elettronica, per esempio. Credo che Klaus Werner abbia già iniziato alcune ricerche in questo campo, producendo un certo numero di circuiti che sono in grado di ripetere dei particolari tipi di attività cerebrali.
— Klaus Werner — ripeté pensoso Sir Andrew, — sì, credo che abbiate ragione. Ma si tratta di scoperte ancora nel campo dell'ipotetico.
— Molto presto non lo saranno più — disse Calland, con la sicurezza che gli veniva dall'esatta conoscenza storica dei fatti. — In effetti la sinapsi elettronica è destinata a diventare un caposaldo nella teoria e nella pratica della psiconeurologia.
— Davvero? — fece Sir Andrew, guardandolo di sottecchi.
— Inoltre — disse Calland, — in un campo parallelo, ciò interessa il più complesso argomento dei quanta psiconeurologici, con particolare riferimento ai ritmi di alfa e beta nelle normali funzioni cerebrali.
— Ditemi, signor Brent — domandò Sir Andrew, con improvviso interesse, — che cosa sapete sui quanta neurologici?
— Ne so più che le equazioni elementari e credo che avendo le possibilità tecniche potrei realizzare importanti strumenti di misurazione.
Gli occhi di Sir Andrew brillavano increduli. — Non pensate che sia un compito colossale? Dopo tutto, quale esperienza avete in questo campo di alta specializzazione?
Calland sorrise. — Una grande esperienza, ma pochi lo sanno.
— Ma la vostra età, signor Brent...
— Sono riuscito a studiare molto in poco tempo — rispose Calland con modestia. — Il fatto è, Sir Andrew, che credo di possedere una naturale attitudine per questi particolari argomenti. Trovo facilissimo ricordare nozioni, collegare i fatti, e pensare progressivamente in termini di idee nuove e nuovi sviluppi. Ad esempio, ritengo che possa esserci una diretta applicazione della sinapsi elettronica in cibernetica sfruttando le formule prime della teoria quantistica psiconeurologica.
Sir Andrew scostò la poltroncina della scrivania e restò a fissare seriamente il giovane visitatore, quasi non riuscisse a decidere se Calland era realmente sano di cervello. Poi improvvisamente batté con la mano aperta sul ripiano della scrivania.
— Io ho quattro abilissimi scienziati, intenti a lavorare attorno a questa teoria da oltre tre anni — esclamò, quasi risentito. — Sanderson ha trascorso gli ultimi nove mesi a cercare una fondamentale equazione dinamica da applicare alla cibernetica in relazione ai quanta psiconeurologici. È uno studioso brillante, e mi costa tremila sterline all'anno. Adesso voi venite qui e mi dite...
— Avrei potuto risparmiare al signor Sanderson molto tempo e molto lavoro — rispose tranquillamente Calland. — Esistono quattro fondamentali equazioni dinamiche, e io le conosco. Le prime tre sono abbastanza semplici, ma la quarta è complicata perché comprende numeri immaginari. Vi rendete conto di cosa significhi, sir Andrew.
Sir Andrew non rispose limitandosi a tormentarsi le labbra con le sue lunghe dita.
— Quando si ha un'equazione del genere — proseguì Calland — si verifica un cambio di asse, parlando in termini geometrici. Il fenomeno è conosciuto come quadratura, e coinvolge masse che si estendono per angoli retti nelle tre normali dimensioni dello spazio fisico.
— E allora?
— Allora, significa che la quarta equazione dovrebbe spiegare quella che si può definire la funzione elettronica di una mente nella quarta dimensione tempo.
Sir Andrew smise di tormentarsi le labbra e passò ad accarezzarsi la testa semicalva. — Sentite, signor Brent — disse in tono irritato, — con tutto il rispetto dovuto a Richard Wetherby Grant e a sua figlia, io non riesco proprio a capire se devo prendervi sul serio o no. Ho sentito dire che desiderate cambiare lavoro dedicandovi alla carriera scientifica nel campo delle ricerche biofisiche. Per quanto ne so non avete titoli accademici, né lauree in scienze, né esperienza di laboratorio, eppure da come parlate si può supporre che ne sappiate più voi sul programma di ricerche della Biochemix di tutto il personale specializzato. Parlate con sufficiente cognizione, e in modo appropriato, sugli sviluppi della cibernetica e della psiconeurologia, sviluppi che sono tanto recenti da essere ancora completamente sconosciuti al di fuori di una stretta cerchia di competenti. E per di più dichiarate di conoscere equazioni che per quanto mi risulta non sono ancora state trovate. Per essere sincero la mia immediata impressione è che si tratti di uno scherzo.
— Non è uno scherzo — disse Calland in tono fermo. — Tutto quello che vi ho detto può essere dimostrato sperimentalmente nei vostri laboratori, Sir Andrew. Vi chiedo solo di darmene le possibilità.
— Quali possibilità?
— Quelle di costruire l'equipaggiamento che dimostrerà l'esattezza delle quattro equazioni che vi ho nominato, e inoltre porrà la Biochemix avanti di parecchi anni rispetto a tutto il resto del mondo per quanto riguarda le ricerche psiconeurologiche.
Sir Andrew posò entrambe le mani sull'orlo della scrivania e si spinse indietro sulla poltroncina. — Ma questa è presunzione! Mai nella mia vita ho... — Si interruppe di colpo e con un dito abbassò una leva sul citofono. — Signorina Conway — disse, — volete per favore chiamare il dottor Sanderson e dirgli di venire da me immediatamente?
— Sì, signore — rispose la voce della segretaria, resa metallica dall'apparecchio.
Poi Sir Andrew fissò Calland con espressione incredula. — Avete parlato seriamente? — chiese, a voce bassa.